Mendicanti di sogni
La rituale corsa estiva alla spiaggia è un’abitudine abbastanza recente, un’idea tutta britannica, figlia della Rivoluzione Industriale. Per sfuggire all’improvviso inquinamento delle città i ricchi inglesi scelsero le spiagge: aria buona, esercizio fisico e bagni di mare. Erano gli anni in cui gli artisti romantici scoprivano un nuovo soggetto pittorico: il paesaggio marino. La spiaggia come punto di incontro tra terra cielo e acqua, suggestione di infinito, luogo di massimo contatto con la Natura. Dall’Inghilterra alla Francia, e poi all’Italia, il nuovo approccio col mare trasformó la geografia costiera riconfigurando il paesaggio e col tempo il turismo balneare élitario assunse proporzioni smisurate.
Tutti al mare!
Due pali piantati in acqua per fare goal ( il portiere immerso fino alle ginocchia), il battere dei racchettoni, le mamme che chiamano i figli e i figli che chiamano “mamma”: in questo azzurro agosto di borse frigo e focacce incartate, di corpi tatuati, costumi bagnati e asciugamani insabbiati, oggi la spiaggia è ritrovo di massa e i ricchi non ci sono più. Stanno sulle barche, sorseggiano l’onda: distanti dalle rotte delle abitudini guardano da lontano il Paese Reale. A riva siamo rimasti noi, la gente comune, e loro, i “vucumprà”. Qualcuno ha detto che “la ricchezza dell’uomo sono i sogni”: i venditori ambulanti da spiaggia sono dunque una nostra creazione, evocati dai nostri desideri da quattro soldi, piccoli sogni e bisogni da esaudire: loro ci offrono paccottiglia da pochi euro e noi la compriamo, paghi di spendere poco. I “vucumprà” spuntano con la fioritura degli ombrelloni, come insetti attirati dal profumo delle creme solari. Quanti sono? Da dove vengono?
La donna che per 10 euro ti intreccia ai capelli i suoi fili colorati regge in equilibrio sulla testa una cesta da cui pendono centinaia di treccine di cotone variopinte, ciondolanti come frange di un paralume. Viene dal Senegal, ha un incedere regale: cammina sulla spiaggia da 4 anni. Dice che vive appena fuori dal paese, e che si trova bene, ma un’aria felice non ce l’ha. I “vucumprà” passano con cadenza regolare, uno ogni dieci minuti. Hanno tutti la pelle nera, una torre di cappelli di paglia sulla testa, una radiolina accesa che scioglie nell’aria una musica araba. Vendono l’inutile estivo, l’effimero, ciarpame che ha senso solo in spiaggia e solo al sole: puntali dal profilo elicoidale per fissare l’ombrellone alla sabbia, occhiali a specchio, palloni, grappoli di collane e bracciali, costumi e copricostumi. Hanno sacchi sulle spalle, aste da cui pendono giocattoli e pannelli di compensato con la merce esposta, e poi uno specchio nello zaino. Compri una collana, un paio di occhiali, ti guardi riflesso nello specchio: lo vedi? Adesso sei più bello.
Non puoi acquistare qualcosa da tutti. Fai finta di dormire per non dover sempre dire di no. Perchè un po’ ti vergogni, perchè lo sai che fanno fatica, che vivono male e che nell’offrirti qualcosa di piccolo mendicano qualcosa di più grande, e ne hanno diritto. Ti vendono il sogno di un giorno per potere un giorno comprare anche solo un pezzo del sogno tuo.
di Daniela Baroncini