Calais, un muro tra Londra e l’Europa

GiusyQuattro metri di altezza per circa un chilometro di lunghezza: il “great wall” di Calais sarà un filo in cemento armato liscio che correrà dall’attuale centro migranti della cittadina francese, la “Giungla”, lungo il porto sulla Manica. Liscio, per impedire ai migranti di arrampicarvisi sopra. Un muro in Francia, per volere della Gran Bretagna fresca di Brexit, in cui è ancora viva la fobia verso la questione dei migranti, che vuole scoraggiare, se non impedire del tutto, i tentativi degli extracomunitari di attraversare la Manica per raggiungere l’Inghilterra.
Il campo profughi di Calais è chiamato la “Giungla” non a caso. Una tendopoli fatta di container, tende e case in legno che ha ospitato di recente fino a settemila persone, spesso in fuga da un conflitto, desiderosi semplicemente di raggiungere il resto della famiglia ma che, a causa delle barriere di filo spinato che già circondano il porto di Calais, rimangono qui anche per anni prima di poter raggiungere la Gran Bretagna. Raggiungere l’isola, in modi più o meno legali, più o meno rischiosi, ancora si può. Ma la Gran Bretagna, che già aveva messo in atto un inasprimento delle misure di sicurezza, dispiegando la propria polizia sul suolo francese proprio per controllare e limitare il flusso di migranti, spiega che in realtà “la grande muraglia” di Calais, che costerà 2,7 milioni di euro, rientra in un pacchetto di misure di sicurezza già concordate tra Londra e Parigi nei mesi scorsi. Secondo il sottosegretario per l’immigrazione Robert Goodwill, è necessario che la costruzione del muro inizi però al più presto, in modo che i lavori si concludano entro l’anno.
Ora più che mai, la Gran Bretagna si allontana, non solo in termini economici, dal progetto europeo di un territorio in cui senso di appartenenza e libertà di circolazione dovevano unire i cittadini. Nell’immaginario collettivo, il muro non impedisce soltanto fisicamente relazioni e scambi. Definisce come “non voluto”, o meglio “indesiderabile”. Genera violenza tra gli esclusi e paura tra chi il muro lo erge; in più, senso di emulazione tra chi vive nello stesso contesto. Al momento soltanto l’Austria ha approvato un progetto che prevede soldati ai confini e uno stop alle richieste d’asilo, ma non è difficile credere che altri Paesi europei saranno tentati da questa linea.
Su un monumento del campo di concentramento di Dachau, una frase, incisa in più lingue, ricorda al visitatore che coloro che non ricordano il passato sono condannati a riviverlo. L’Europa sta dimenticando in fretta anche il passato più recente, pieno di violenze, deportazione, muri costruiti o soltanto progettati, blindature, controlli alle frontiere. Il rischio sempre più concreto non è che si ripeta il passato, ma che non ci sia spazio per un futuro.

di Giusy Patera

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