Miccia Verde

Miccia Verde vuole essere un terribile gioco di parole, cruento tanto quanto l’omicidio che ha messo fine alla vita di Gelsomina Verde.

Gelsomina Verde, classe 1982, è una ragazza di 22 anni che vive nel quartiere della periferia nord di Napoli, Secondigliano, e “fatica” in uno dei tanti sottoscala campani, cuore pulsante della vera industria “made in Italy”.

La notte del 21 novembre 2004, l’innocente e incensurata Gelsomina Verde, Mina per gli amici, muore per mano della camorra.
Pietro Esposito, conoscente della ragazza, con una scusa attira la giovane nella tana del lupo, dove ad attenderla trova Ugo De Lucia, esecutore materiale di questo terribile omicidio: l’aguzzino la sottopone ad un estenuante interrogatorio, mirato ad ottenere notizie su Enzo Notturno, ma soprattutto il consenso ad uccidere Gennaro Notturno.
Il rifiuto di Gelsomina fa si che il loro colloquio si concluda con torture e sei colpi d’arma da fuoco, uno talmente tanto vicino alla nuca da trapassarle la fronte.

Una sera qualunque, in un posto qualunque Gelsomina conosce Gennaro, giovane “guaglioncello” di Secondigliano, e iniziano una qualunque relazione.
Gelsomina probabilmente è a conoscenza dei possibili risvolti che la vita di Gennaro potrebbe assumere in quel contesto, o forse no: in un modo o nell’altro, si getta in quella esperienza senza rifletterci troppo.
La ragazza non avrebbe mai potuto immaginare che di lì a poco si sarebbe originata una faida tra bande e che Gennaro avrebbe scelto la strada degli Scissionisti, gli Spagnoli.

Deve però essersi posta dei limiti Mina, perché quando Gennaro inizia a “faticare” per i Di Lauro, lei cerca di dissuadere il ragazzo in tutti i modi: lavori alternativi, onesti, dalle paghe e privilegi inferiori, è tutto quello che ha da offrirgli.
Lui giunge alla conclusione che il gioco non vale la candela e la loro storia finisce, senza drammi ne pentimenti.

Di quella notte del novembre 2004 Saviano racconta dei “body bag”, di un cadavere simile a “quelli del Vesuvio”, di narici che “non si azzardavano a respirare troppo forte”.
Al momento del ritrovamento del corpo in quelle condizioni, i più giuravano e spergiuravano che si trattasse dell’ennesimo camorrista finito male: “ma si, che si ammazzassero tra di loro”.
Quando dall’ospedale Cardarelli giunse la smentita, lo scrittore napoletano racconta di un imbarazzante silenzio, tanto nelle sale delle conferenze stampa, quanto per le strade di Napoli.

Dopo essere stata torturata e seviziata per ore, Gelsomina fu data alle fiamme all’interno della sua Fiat 600, semplicemente perché la ragazza non disponeva delle informazioni richieste, perché forse non l’aveva neanche mai conosciuto il fratello di quel ragazzo frequentato solo per pochi mesi e perché, avendo un’anima, non riusciva a dare il proprio consenso ad uccidere Gennaro, di cui certo non conosceva il nascondiglio.
Quello che probabilmente ha spinto gli assassini a bruciare il cadavere deve essere stato l’aver preso coscienza delle condizioni in cui avevano ridotto la giovane: i clan godono del massimo rispetto, servito in un bel cocktail di omertà, ma addirittura loro hanno dei limiti oltre i quali è meglio non spingersi. Il corpo di una giovane maltrattata ed uccisa avrebbe scaturito un notevole dissenso tra le persone del quartiere, e questo non possono permetterselo.

L’efferatezza di questo delitto ha scosso persino le coscienze di qualche camorrista: “le cose assurde come l’omicidio di Gelsomina Verde” è stato il commento di qualche giorno fa di Maurizio Prestieri, pentito di Secondigliano, in merito a questo evento che crea scompiglio anche dopo anni; “devi vederlo a Cosimo, sta come un mostro (…) è uscito pazzo” è quello che disse Vincenzo Di Lauro, fratello di Cosimo, allo zio, Enrico D’Avanzo, quando seppero dell’accaduto. Inoltre, gli increduli zio e fratello gli riservarono insulti e ingiurie perché un fatto simile, l’uccisione di un innocente, avrebbe attirato i riflettori e non poco, rallentando il meccanismo della loro macchina infernale.

Sono state due le possibili spiegazioni alla base di questo omicidio: Cosimo potrebbe aver agito così per riscattare il suo “battesimo del fuoco”, oppure si è trattato dell’ultimo, disperato, tentativo di emulazione verso il padre, il boss dei boss, Paolo Di Lauro.
Il primo è un evento innominato a Secondigliano: Prestieri carica in macchina Cosimo e lo porta davanti ad un pusher noto del quartiere, tale Picardi. Cosimino impugna il “ferro”, il bersaglio è talmente vicino da essere un condannato, eppure il rampollo per eccellenza lo manca, prendendolo solo di striscio.
Fallire un simile colpo prevede che presto sarai condotto davanti ad un parente, che dovrà essere necessariamente ucciso, così da non alimentare falsi miti per cui staresti barando.

Per quanto riguarda la voglia di somigliare, anche solo velatamente, al boss Di Lauro, è chiaro che si fa riferimento all’uccisione della madre di Antonio Ruocco: trattasi di un capo zona che il 18 maggio del 1992 contribuì ad ammazzare Raffaele, fratello di Prestieri, in un agguato al bar “Fulmine” di Secondigliano. A questa ennesima morte seguì la vendetta del boss Di Lauro: occhio per occhio, dente per dente e questa volta a morire è la madre di Ruocco, responsabile solo di aver messo al mondo il figlio.
Alle polemiche Paolo rispose che lui era in grado di fare “solo la guerra sporca”.

Scegliere di uccidere un bambino o una donna per un boss: potrebbe infangare la sua reputazione, ma al contempo chiarisce a tutti che nessuno è al sicuro, che non esistono veri innocenti, affermando una vera e propria supremazia.

Nella stanza in cui il pentito Prestieri racconta tutto questo agli inizi del 2000, tra un intervallo e l’altro nel tribunale di Napoli, è nata la prima faida di Secondigliano, nella quale ha perso la vita la giovane.
La stridente confessione per cui Gelsomina dovrà essere difesa, nello stesso posto in cui si è originata la guerra che l’ha uccisa getta immancabilmente un ombra piena di dubbi sulla giustizia ed il sistema italiano: dal momento che tutto ciò non è stato impedito, ora che è accaduto, non ci rimane che sperare in una condanna definitiva per Cosimo, nella sentenza rinviata al 12 dicembre, che lo renderebbe il primo Di Lauro condannato per omicidio.

Chiuderei questo articolo dicendovi che oggi, al lotto P (più noto come “Case dei Puffi”), sorge un laboratorio teatrale per bambini, in onore di Gelsomina Verde: ma una note dolce questa storia non se la merita, e preferisco dirvi che oggi Gelsomina avrebbe avuto solo 34 anni.

di Irene Tinero

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