Il Papa dei diseredati nel suo primo Giovedì santo

Il 28 marzo 2013, Giovedì santo, Jorge Mario Bergoglio è divenuto Papa Francesco da quindici giorni e insediato sul trono di Pietro da nove. Probabilmente a nessun altro pontefice verrebbe in mente di visitare un carcere minorile mentre è ancora indaffarato col trasloco. E invece quel pomeriggio a Radio Vaticana toccherà fare la cronaca della sua visita al penitenziario romano di Casal del Marmo, a Monte Mario, quadrante nord della città. Ma soprattutto sulle sue frequenze viaggerà il racconto in diretta di uno dei momenti più importanti del magistero di Francesco, la messa “in coena domini” in un carcere e il rito della lavanda dei piedi ai detenuti, prima volta in assoluto per un Papa.
L’ultimo a farsi vedere da queste parti fu Giovanni Paolo II nel giorno dell’Epifania del 1980, ma era già insediato da più di un anno e ovviamente in quell’occasione la messa pasquale e la lavanda dei piedi non erano previste dalla liturgia. Francesco invece ha voluto imprimere fin da subito il segno distintivo che caratterizzerà il suo mandato negli anni a venire.
Il Papa delle periferie, degli ultimi, dei diseredati, onora così la fama che lo precede “sporcandosi” le mani per primo, andando nei posti dove quel buco a forma di Dio sembra lungi dall’essere riempito. E a Roma come a Buenos Aires la consuetudine di celebrare la messa che dà inizio al Triduo pasquale, con la lavanda in un luogo significativo, in mezzo ai disgraziati, va rispettata. Di qui la scelta di Casal del Marmo, dove si inchinerà ai piedi di 10 ragazzi e 2 ragazze. Perchè dodici era il numero degli apostoli e lui, come Gesù, vuole dare quell’esempio che come tecnica evangelizzatrice è la più efficace di tutte. Significativo anche che le due ragazze prescelte siano una italiana e cattolica, l’altra serba e musulmana. E anche se le scelte sembrano pensate e pianificate nei particolari, “le cose del cuore non hanno spiegazioni, vengono da sole”, come dirà il successore di Benedetto XVI.
Tra l’altro quella stessa mattina, durante la messa crismale con i sacerdoti e i prelati romani, prima di benedire gli oli il Papa ha esortato gli astanti ad andare nelle periferie, ed essere pastori con addosso l’odore delle proprie pecore. Detto fatto.
Il carcere, che ospita 49 giovani, alcuni dei quali detenuti per reati molto gravi, sorge nel verde a due passi dall’ex-manicomio Santa Maria della Pietà. Dal centro ci si arriva percorrendo via Trionfale fino all’altezza della stazione ferroviaria “San Filippo Neri” della linea FR1 per poi girare a sinistra e giù per via Giuseppe Barellai, una stradina che costeggia prima il parcheggio dell’ospedale da cui prende il nome la stazione e poi il Liceo Scientifico Pasteur, terminando nel piazzale antistante il cancello della struttura penitenziaria. Fino ad una trentina d’anni fa qui eravamo in piena periferia tanto che il cartello rettangolare bianco ma ormai ingiallito con la scritta “Roma” barrata di rosso fa ancora capolino tra gli arbusti sul ciglio di via Trionfale. Oggi invece, con la densità di popolazione delle vicine borgate Ottavia e Palmarola cresciuta a dismisura, è un quartiere trafficatissimo e di passaggio verso quella che una volta era campagna e adesso è un appendice della metropoli dove i prezzi delle case sono più che triplicati.
Ad accogliere Francesco, che quel giorno indossa un grembiule fatto di tessuti provenienti dalla Terra Santa, una lunga fila di fedeli e abitanti del quartiere che – manco a dirlo – si sono disposti su entrambi i lati di via Barellai lungo tutto il suo chilometro di lunghezza.
Insieme al Papa celebrano messa il cardinale Agostino Vallini, vicario per la diocesi di Roma, e Gaetano Greco, il cappellano del carcere. Presente alla cerimonia anche l’allora ministro della giustizia, agli ultimi giorni del suo mandato, Paola Severino.
L’omelia di Francesco è breve, cinque minuti, e a braccio, come fosse un passaggio obbligato da sbrigare nel minor tempo possibile per poi approdare al clou della giornata, la lavanda appunto, che avrà un significato particolare e sembrerà, oggi più che mai, “la carezza di Gesù”, perchè “chi è più in alto deve essere al servizio degli altri”. E Francesco lo è. Lui che da vescovo di Buenos Aires quel gesto lo ha già fatto tante volte, ma adesso la veste che porta è la più candida e prestigiosa tra quelle talari.
La messa dura un’ora e si conclude con la “reposizione” del Santissimo Sacramento, tipica della liturgia del Giovedì Santo; dopodiché il Papa incontra i ragazzi nella palestra dell’istituto ricevendo in dono un crocifisso ed un inginocchiatoio, entrambi in legno, realizzati dagli stessi detenuti nel laboratorio artigianale del carcere, e ricambiando con uova e colombe per tutti, a conclusione di una giornata che se fosse stata normale non staremmo qui a ricordarcene dopo più di tre anni.

di Valerio Di Marco

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