La democratizzazione dei media ha creato mostri

Buona parte della produzione saggistica in materia di media e nuove tecnologie è piuttosto ottimista. Che siano studi accademici o manuali ad hoc per aziende di web marketing, tutti gridano al miracolo della nuova democratizzazione, della partecipazione senza limiti, della convergence culture. Il web è arrivato a rompere il vecchio modello della distribuzione dall’alto in basso, per donare a tutti la possibilità di partecipare, creare, esprimersi in un modello che, se non è un rovesciato dal basso all’alto, rende almeno un disequilibrio nei rapporti di potere, garantendo una linea continua di feeback e lo stretto controllo della produzione da parte dei vari moderni editori.

Ma di fronte alla strumentalizzazione del referendum e al proliferare dei post di polemica nei confronti di un fantomatico presidente non eletto dal popolo, solo per citare gli ultimi episodi, possiamo veramente pensare che questa estesa libertà di espressione e facilità di influenza sia una benedizione?

Per definire questa diffusione incontrollabile e questa tendenza all’imitazione di un’idea, vengono universalmente usati i termini virale e meme, entrambi provenienti da metafore biologiche. Come spiega il sociologo dei media Henry Jenkins in alcuni dei suoi lavori, tali termini ridurrebbero l’utente a un mero strumento passivo, un corpo ricettore di un virus che si propaga al di là del nostro controllo e della nostra volontà. mentre, a suo avviso, ogni utente è perfettamente consapevole dell’azione che compie e del messaggio che veicola nel momento in cui scrive, legge o condivide un contenuto. Se questo contenuto fosse vuoto o insensato, allora dovremmo dire che chi lo consuma sia irrazionale, cosa che Jerkins esclude. Perché ogni messaggio veicolato è carico di significato per la persona che lo trasmette, in quanto condiviso all’interno del gruppo nel quale quest’ultimo sente di appartenere.

È un po’ il problema degli imbecilli di Eco: questa incredibile libertà e facilità di comunicazione, ha permesso a persone competenti in determinati campi, di sconfinare in quelli degli altri. Le voci autorevoli si mescolano alle parodie, alle disonestà volontarie, alle semplici ignoranze che riguardano in certi ambiti ognuno di noi.

In assenza di un filtro, reso impossibile in questa nuova democratizzazione dei media, che in quelli vecchi era rappresentata dalla pluralità e autorevolezza degli addetti ai lavori, e che non sarebbe comunque del tutto auspicabile perché pericoloso, ché il confine con la censura è troppo sottile, è una sempre maggiore educazione che serve.

Tornando a Jenkins, mentre virale attiene alla biologia, cultura è una metafora tratta dal mondo dell’agricoltura. L’uomo, in quanto animale che più di ogni altro si è staccato dal gravare dell’istinto biologico, è uomo in quanto apprende, e ciò che apprende va costantemente e con fatica coltivato. C’è bisogno di sforzarsi a coltivare i frutti giusti.

di Simone Cerulli

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