La risposta sta nella disuguaglianza

Un’altra tessera del domino è caduta. Il referendum, come la Brexit e Trump, sconvolge gli equilibri al potere. Il rischio ora, come già sta succedendo, è quello di focalizzare l’attenzione sui piccoli giochi di partito o sulle singole personalità politiche.

Potremmo, per una volta, alzare la testa e guardare gli avvenimenti con un ottica che vada un po’ oltre il nostro cortile.

Se si vuole evitare di far passare il tutto per un fatto di semplice cronaca politica occorre fare un salto indietro. La storia inizia alla fine degli anni ’70. In quella fase si verificava uno stravolgimento delle dottrine di politica economica: il neoliberismo saliva alla ribalta. L’espressioni politiche più esemplari ne furono, nel Regno Unito, Margaret Thatcher e, Reagan, in America.

Da uno stato che interveniva ridistribuendo e controllando si è passato ad una deregolamentazione che ha eroso il welfare e ha lasciato a briglie sciolte i mastini della finanza. I sindacati hanno perso potere e i sistemi fiscali sono diventati sempre meno progressivi. I ricchi non andavano tassati troppo. Il motto era: come una marea che trascina in alto tutte le barche, così i più ricchi facendo crescere l’economia faranno guadagnare indirettamente anche i più poveri.

Contemporaneamente con l’esplosione della globalizzazione e con l’ingresso di miliardi di lavoratori cinesi e indiani nel mercato, questa dottrina è diventata l’unica in Occidente. E molte di quelle barche devono essersi incagliate.

Basta mettere a confronto le mappe del voto nel referendum per la Brexit e nelle ultime elezioni americane con le mappe della distribuzione del reddito in quei paesi, per scoprire le vere cause.

Il Regno Unito ha conosciuto una disuguaglianza sempre più forte negli ultimi anni. Il 10% più ricco possiede il 54% della ricchezza nazionale. Il 20% più povero ne possiede solo l’0,8%.

Nell’altra sponda atlantica, del sogno americano è rimasto solo il ricordo. Se si esclude il settore farmaceutico, negli ultimi decenni tutta la manifattura americana è in declino.

Passando alle questioni nostrane, lo scenario non cambia. Da ancora prima della crisi, la concentrazione della ricchezza in Italia cresce in maniera costante. Osservando i dati del referendum, salta agli occhi il voto nettamente a favore del No al Sud. Proprio dove la ricchezza è più concentrata nelle mani di pochi.

Per quanto riguarda l’età, il Sì ha vinto di poco solo tra gli over 55. Tra gli under 34, invece, hanno votato per il No tra il 70 e l’80% circa. I giovani, proprio la categoria più dimenticata.

Ora se perfino un multimiliardario come Trump riesce a passare come il paladino dei poveri, risulta chiaro come la sinistra mondiale sia rimasta a guardare in questi anni. Anzi, peggio: si è snaturata.

Senza riuscire più a essere espressione degli ultimi, l’unica voce rimasta a questi sarà quella dei populismi. O magari si dovrà far fronte anche a qualche deriva più estremista.

Non perdiamo un’altra opportunità. Occorrono adesso uomini e donne che sappiano guardare più lontano, sapendo che non basterà riproporre istituzioni sociali che funzionavano negli anni ’60 o ’70. Ma c’è bisogno di ripensarle tenendo conto che il mondo sta evolvendo, e soprattutto al suo interno è cambiato drasticamente il mercato del lavoro.

di Pierfrancesco Zinilli

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