Artemisia e il suo coraggio.

Ho sentito il nome di Artemisia Gentileschi per la prima volta in un pomeriggio d’agosto a Cala Forno, su una spiaggia intatta e deserta del Parco dell’Uccellina, all’ombra di una di quelle antiche costruzioni rurali riparate dai monti, affacciate sul mare, dove ancora non arrivano l’asfalto e la corrente. Cala Forno é uno dei set del film “Artemisia, passione estrema”, che ripercorre la vicenda biografica che segna la vita e la carriera della prima grande pittrice italiana. Figlia di Orazio Gentileschi, pittore a Roma, amico di Caravaggio, Artemisia ha il dono magnifico della pittura in un mondo artistico proibito alle donne.

Cresce alla scuola del padre macinando colori, preparando tele, fabbricando pennelli, in una Roma  “piena di mostri intabarrati”, in un 600 rissoso e picaresco.

Talento precoce, quello di Artemisia.

Bellezza precoce, la sua.

“D’Orazio Gentileschi rimase in queste nostre parti una figliola vaghissima d’aspetto, valente pittrice quanto mai altra femmina.”

Il padre le affianca per maestro Agostino Tassi, pittore quadraturista di scenografie e architetture, perché le insegni l’arte della prospettiva. Trentenne ammaliante, Agostino Tassi detto “lo smargiasso”, considerato un avventuriero, un soggetto da galera, corteggia Artemisia con insistenza e finisce col violentarla, promettendole un matrimonio riparatore.

E fino a questo punto la storia di Artemisia é una storia come tante, una ragazzina violata da un artista violento, la bella vittima di un delitto “ricreativo”, di quelli che rimangono impuniti tra le mura domestiche. D’altra parte la violenza sulle donne fatica a venire a galla anche oggi: nella tecnologia, nelle comunicazioni, nei trasporti, nell’alimentazione, ovunque si sente profumo di modernità, ma i rapporti civili sono ancora una conquista lontana. Dati certi non ne abbiamo, sono pochissime le donne che denunciano di aver subito violenza, ma i dati ISTAT più recenti parlano di 652mila donne vittime di stupro.

La storia di Artemisia esce dall’anonimato, cambia con un atto di coraggio senza tempo: poco piú che diciassettenne, ha il coraggio di trascinare Agostino Tassi in tribunale, denunciare lo stupro, affrontare un lungo processo, testimoniare anche sotto tortura (la tortura della Sibilla, che stringe a sangue i lacci alle mani della pittrice, fino quasi a rompergliele), sottoporsi a visite ginecologiche pubbliche, decisa ad accusare l’uomo che l’ha prima violata e poi illusa con false promesse di matrimonio.

Il Tribunale, in quel torbido 1612 romano, le dà ragione. Artemisia ottiene l’affermazione di sé e della propria dignità, il riconoscimento della sua personalità artistica. La sua avventura nel mondo della pittura continua con successo: lavora a Firenze, poi di nuovo a Roma, a Napoli e a Londra. Ha una bottega, e aiutanti e commissioni, una famiglia, l’amore e una lunga carriera. Artemisia resta ancor oggi uno dei massimi testimoni del 600 e dell’arte universale. Prima donna a non temere confronto con l’uomo, prima donna pittrice a guardare da pari molti suoi colleghi maschi, prima donna ad avere il protagonismo che viene dal coraggio, non piú pittrice ma “pittore” a pieno titolo: Artemisia con l’arte si riscatta e con lei riscatta tutte le donne.

Dalla spiaggia di Cala Forno, per film e per letture, il nome di Artemisia mi ritorna, stavolta a Roma. Palazzo Braschi ospita una mostra dedicata a lei e al suo tempo. Lì c’è esposta una tela, tra quelle che più l’hanno resa celebre, che racconta una vendetta: Giuditta taglia la testa di Oloferne, uccide l’usurpatore, vendica il popolo oppresso e restituisce alla vita il ciclo delle stagioni, il normale alternarsi del bene e del male, della vita e della morte. Qualcuno sostiene che nella figura di Giuditta Artemisia abbia evocato se stessa e la rabbia dello stupro molte volte sopita e soffocata. C’é chi dice che Artemisia si fece vendetta con la sua pittura. Idee, pareri, interpretazioni. La più bella é quella di Roberto Longhi, che nel 1916 ebbe a scrivere di lei:”l’unica donna in Italia che abbia mai saputo cosa sia pittura e colore e impasto e simile essenzialità.”

Un’artista donna é merce così rara, é merce così cara.

di Daniela Baroncini

Print Friendly, PDF & Email