Caso Fortugno: quanto valgono 14 mila voti?

Questa è l’ennesima storia triste, dall’odore di mafia, che prende vita in uno dei contesti più tipici italiani, le elezioni politiche: siamo in Calabria, correva l’anno 2005 e la vittima fu l’allora Vicepresidente del Consiglio Regionale, Francesco Fortugno, .

Il centro sinistra, schieramento di Fortugno, sta stilando la lista con cui scendere in campo, e contemporaneamente, getta le premesse per questo terribile omicidio: diversi ed importanti esponenti, nonché molti ambienti calabresi, richiedono a gran voce la comparsa di Domenico Crea in quel particolare scenario. I soli ad opporsi pubblicamente sono Francesco Fortugno e sua moglie, Maria Grazia Laganà: Agazio Loiero, all’epoca Presidente della giunta regionale calabrese, si unì in maniera più composta, al sommesso coro dei due coniugi, a sostegno di Fortugno.

Francesco non perdona proprio a Mimmo l’essere stato tre volte assessore nel centro destra, le sue particolari amicizie, come quella con Alessandro Marcianò, uno dei boss più potenti della ‘ndrangheta calabrese, e forse anche il suo nome all’interno di diverse indagini e atti giudiziari.

Ma Crea significa un “rilancio forte del centro sinistra”, tanti voti, magari i 14mila dell’ultima volta.

Pertanto, una riunione a Roma sancisce,il 2 febbraio 2005, la definitiva comparsa di Crea alle elezioni regionali calabresi: una cena a Torino, a cui presero parte anche due esponenti politici, fu organizzata per festeggiare l’evento.

Subito dopo , Crea avvisa un paio di amici: dapprima telefona a Luigi Meduri, suo sostenitore, ex presidente della Regione Calabria e sottosegretario al governo Prodi, nomina per cui fu sostituito, nella giunta calabrese, proprio da Fortugno. In quella occasione Meduri così parlò dell’uomo che gli succedette: “una brava persona, ma di politica proprio non capisce niente, un idiota”.

Riattacca e chiama Sandro Marcianò, a cui Mimmo dice: “Ora chi ha i voti, scende. A Locri devo prendere un voto più di coso, dii Fortugno”.

Eppure a vincere è “coso”: 8.548 voti, contro 8.204.

Ci sono terre in cui all’opposizione corrispondono precise e cadenzali conseguenze: il 16 ottobre 2005, all’interno di un seggio a Palazzo Nieddu, 5 colpi di pistola uccidono Francesco Fortugno.

A Locri lo definirono “l’omicidio eccellente”, uno di quelli che non si esegue senza il consenso unanime di tutte le cosche.

La Calabria è una terra particolare, in cui Reggio è stato il primo comune italiano ad essere sciolto per infiltrazioni mafiose, e in cui, contestualmente, ci sono ancora 300 casi di omicidio che giacciono in un angolo, senza colpevoli. Progresso e Clientelismo, l’endemico e malato meccanismo a cui si oppose Fortugno.

Cinque mesi di indagini portarono all’individuazione dei killer, tutti riconducibili alla cosca Cordì: 9 furono le ordinanze di custodia cautelare, emesse a vari livelli, tra cui compare quella contro Salvatore Ritorto (27), esecutore materiale dell’omicidio. Anche grazie alle dichiarazioni del pentito Bruno Piccolo (27), fu possibile individuare, successivamente, i mandanti: non a caso, Alessandro e Giuseppe Marcianò.

Sebbene non sia mai stato compreso chi abbia realmente beneficiato di questa morte, ognuna di queste uccisioni conserva un messaggio al suo interno: in questo caso era rivolto esclusivamente all’attenzione di Agazio Loiero, a cui erano già stati fatti recapitare tre proiettili diversi, uno per ogni casa del Presidente, sotto scorta dal luglio 2005.

Agazio seppellì l’amico Francesco a Catanzaro, per poi tornare a Locri, dove non abbandonò il suo posto, proprio come invita a fare, ancora oggi, il caso Fortugno.

di Irene Tinero

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