La vicende dei fratelli Enzo e Salvatore Vaccaro Notte

Certi benpensanti spesso si riempiono la bocca di luoghi comuni, come quando dicono che il guaio del sud è la sua mentalità assistenzialista, la bramosia del posto fisso nello Stato, il non saper fare impresa, il non saper fare sacrifici, il non ribellarsi ai soprusi. Costoro, che non conosceranno mai la miseria, il ricatto, o la paura, che impediscano di essere liberi, di essere pienamente artefici del proprio destino, prima di parlare dovrebbero conoscere la storia di Enzo e Salvatore Vaccaro Notte.

Nati a Sant’Angelo Muxaro, paese di 1500 abitanti arroccato sulle montagne agrigentine, non trovando lavoro né opportunità (in certe latitudini, le banche non aiutano gli aspiranti imprenditori) emigrarono in Germania dove fecero i pizzaioli per anni, risparmiando fino all’ultimo centesimo per poi ritornare al proprio paese ed aprire un’attività, per vivere onestamente, nei propri luoghi.

Avviano un’impresa di pompe funebri che, tra intraprendenza commerciale e “carte in regola”, crea seri problemi all’unica altra ditta del paese, gestita da persone ritenute vicine ad un clan mafioso, che era anche priva di tutti i permessi necessari. La bravura porta loro successo e divengono la ditta preferita dai paesani, ma al contempo li porta a pestare i piedi ad un concorrente pericoloso. Così vengono intimiditi dalla cosca locale, quella dei Pidocchi, ma loro non si piegano e rifiutano anche qualsiasi compromesso. Hanno sicuramente paura, ma non lo danno a vedere e continuano per la loro strada, nonostante i dispetti, le minacce, le intimidazioni.

Nella loro onestà si mostrano forse un po’ ingenui, quasi degli idealisti che vogliano cambiare, se non il mondo, il proprio piccolo paese. Poiché non li avevano piegati fino ad allora, ecco che i mafiosi portarono la prepotenza al massimo livello di viltà, uccidendo Vincenzo in un agguato nella piazza del paese, la sera del 3 novembre 1999 con un colpo di lupara alla testa, reo di essere un bravo ed onesto lavoratore, di avercela fatta senza aiuti di politici e mafiosi, di non aver chinato la testa, di fronte al sopruso.

Anche a causa dell’omertà di un popolo che non vedeva nulla, che parlava solo a bassa voce e che “spegneva la luce”, l’inchiesta sull’uccisione di Vincenzo non approdò a nulla. Invece Salvatore andò avanti, per la strada presa assieme al fratello, per non rendere vani gli anni di fatiche ed il sacrificio di Vincenzo e, oltre a continuare l’attività, portò avanti delle sue personali indagini per ottenere giustizia, con l’ausilio di Angelo, il terzo fratello, che lavorava nel Corpo Forestale. Ma la mafia non poté tollerare che le si sottraesse il cibo con cui alimentava il suo potere, la paura e anche a Salvatore, sempre in piazza, la sera del 5 febbraio del 2000 riservò la stessa sorte di Vincenzo, con un colpo di lupara alla nuca.

Rimasto solo, Angelo non mollò e con coraggio continuò ad opporsi all’arroganza e alla prepotenza mafiosa: entrato nel programma di protezione, in qualità di testimone di giustizia, con la famiglia lasciò la Sicilia. Attraverso tre blog che ha aperto, parla coraggiosamente di mafia. Da allora il lavoro degli inquirenti non si è fermato e sono stati scoperti numerosi retroscena (traffici di armi e droga, politici corrotti…), che nel maggio del 2006 portarono all’arresto di noti mafiosi latitanti e all’incriminazione dei presunti assassini dei fratelli Vaccaro Notte, Pietro Mongiovì e il quasi omonimo Giuseppe Vaccaro.

I due fratelli avevano 48 e 43 anni quando furono uccisi, loro che non trovando lavoro né occasioni per crearselo, prima emigrarono e lavorarono onestamente, poi col frutto dei loro sacrifici tornarono ed aprirono un’attività propria e che, soprattutto, non accettarono di sottostare ai soprusi mafiosi. La loro storia è l’esempio di quanto maldestri possano essere certi loghi comuni e che di eroi, il popolo siciliano ne ha avuti tanti, anche tra gli sconosciuti: non sono stati solo i magistrati, i militari e poliziotti, ad essere uccisi per la loro opposizione alla mafia. Nel popolo siciliano, ci sono tantissimi esempi di eroismo, fatto di quotidianità nella paura, nella violenza, pur di avere una vita “normale”, come quella dei benpensanti che non conosceranno mai il cancro mafioso, ma che giudicano da lontano (e al sicuro) chi lo viva tutti i giorni.

di Mario Guido Faloci

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