Donne e lavoro: le difficoltà del passato sono ancora una realtà

La “promessa del 2025″. Definì così, la direttrice generale del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde, la decisione del G20 di ridurre del 25% il gap lavorativo tra uomini e donne.
Sono passati due anni e nonostante le buone intenzioni, di strada da fare ce n’è tanta. Manca molto è vero, ma basta affacciarsi un attimo al mondo del lavoro, per capire che forse non basteranno neanche cinquant’anni.
Il lavoro femminile ha fatto enormi passi dal dopoguerra in avanti, eppure spesso, sembra ancora di star fermi al XIX secolo.
Prendiamo il caso delle fabbriche. In molti, credono che sia una questione puramente legata alla rivoluzione industriale. Invece no, è reale, tangibile e paurosamente attuale.
Le lavoratrici sono sottomesse agli arbitri padronali, vittime dello sfruttamento e vivono nell’angoscia del domani, guadagnando a malapena quanto basta per sopravvivere e molto meno rispetto ai colleghi di sesso maschile.

In fabbrica gli incidenti sono all’ordine del giorno e le deformità fisiche inevitabili, a causa della posizione innaturale del corpo e del prolungato tempo in cui si sta in piedi. Inoltre, tutto questo comporta numerosi aborti e parti difficili.
Eppure la manodopera rosa è la più ricercata, poiché concede notevoli vantaggi. È più vulnerabile e docile, produce lavori più minuziosi e ha costi minori.

Si lotta ogni giorno, poi si torna a casa e si comincia il secondo lavoro. Quello che a sua volta ne racchiude tanti altri: la mamma, la moglie, la cuoca e l’addetta alle pulizie della casa.
Ancora oggi dunque, si sperimentano nuove “trincee”. In fabbrica, come in ufficio, il genere femminile ha enormi difficoltà a entrare o rientrare nel mondo del lavoro e a livello nazionale, l’Istat ha rilevato un tasso di occupazione femminile dell’appena 46,5 %.
Ci si scontra con un’assenza di percorsi meritocratici nell’ambito delle carriere, con il gap salariale, pensionistico e con un sessismo che a volte ricade persino in proposte indecenti.
Per il nostro tempo, è forse diventato un lusso discutere di qualità, condizioni e dignità della persona in merito all’impiego?
Sì. Purtroppo nel 2017, parlare di lavoro vuol dire principalmente discutere della possibilità di averlo, oppure no.

di Sara Di Paolo

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