Disoccupazione e precariato, frutto di scelte fuori dal contesto

Secondo i dati Istat, la disoccupazione in Italia ha registrato un calo dello 0,2% nel mese di giugno, scendendo così all’11,1 per cento in termini assoluti. Anche il tasso di disoccupazione giovanile scende, attestandosi al 35,4 %. Nel mese di giugno anche in questo caso il calo è significativo (ben 1,1 punti percentuali). La questione, però, è più ambigua di così.

I numeri vanno interpretati e contestualizzati. Innanzitutto, parallelamente alla crescita degli occupati, va rivelato anche un aumento degli inattivi, cioè coloro che sono disponibili a lavorare ma non cercano attivamente un lavoro.
Rimane, poi, ancora scoraggiante il paragone con il resto dei paesi europei. Senza guardare alla Germania, che ha un livello di occupati di circa il 10% più alto di quello italiano, la media dei paesi dell’eurozona è del 9.1%, mentre è al 7.7% considerando l’Unione Europea a 28.
La dinamica è, quindi, positiva in tutta Europa e nonostante ciò l’Italia mantiene un forte ritardo.

Ma il dato più importante è forse quello dei dipendenti a termine. Il numero aumenta fino a raggiungere il massimo storico, cioè 2,69 milioni di lavoratori. Quindi l’occupazione in più è praticamente occupazione precaria. Questo non è affatto una sorpresa. Non solo il Jobs Act, ma tutte le leggi che regolano il lavoro negli ultimi anni vanno in questa direzione.

I paesi capitalisti hanno avuto da sempre istituzioni del mercato del lavoro e politiche sociali profondamente eterogenee. Tali differenze continuano a persistere e ad avere un senso anche nell’economia globale. In Italia, invece, tutte le ultime riforme del lavoro hanno avuto come obiettivo quello di convergere verso un unico assetto istituzionale, ovvero quello tipico del mercato nordamericano. Basata sul concetto di flessibilità, molti ritengono questa la forma dominante che supera in efficienza tutte le altre. In realtà, fare copia e incolla di meccanismi funzionanti in un determinato paese e applicarli in un altro paese, non è mai stata una ricetta vincente.

Il mercato del lavoro americano ha un senso perché il livello di disoccupazione rimane costantemente basso. I cittadini americani non accetterebbero mai i livelli di disoccupazione europei. In Europa, invece, la preferenza è, storicamente, per una maggiore sicurezza economica e uguaglianza. Questo è semplicemente dovuto ad un sistema di valori diverso. Diverso in maniera naturale, perché diversa è la storia, la cultura e le norme che regolano la vita nei diversi paesi. Differenze ci sono necessariamente, anche, all’interno dell’Unione Europea.
Per questo motivo, scegliere politiche senza tener conto del contesto locale rischia di creare solo squilibri a lungo termine.

di Pierfrancesco Zinilli