L’IPOTESI DI GAIA

Questa storia ricomincia negli anni ’60.
In quel periodo, la NASA progettava di inviare missioni sulla luna, su Marte e su Venere, per esplorarne la natura. Uno degli obiettivi era verificare se potessero esservi organismi viventi di qualche tipo. Era perciò necessario avere un metodo per scoprirlo, a partire dall’esame di pochi elementi, nella piccolissima parte che poteva essere esplorata. Al programma di ricerca collaborò James Lovelock, un chimico dell’atmosfera. Nel 1965, Lovelock ebbe un’intuizione: “l’atmosfera della Terra è una miscela di gas straordinaria ed instabile, eppure sapevo che la sua composizione rimane costante per periodi di tempo assai lunghi. Era possibile che la vita sulla Terra non solo creasse l’atmosfera, ma che la regolasse, mantenedone la composizione costante, e ad un livello favorevole alla vita degli organismi?” (James Lovelock, Healing Gaia, New York, 1991). Grazie a questo tipo di atmosfera, la Terra è in grado di mantenere piuttosto costante la propria temperatura, ad onta delle oscillazioni notevoli dell’irraggiamento solare, che si verificano nel corso del giorno, dell’anno e delle ere geologiche. È capace di “omeostasi” come qualunque essere vivente. Ecco l’importante scoperta di Lovelock: vi è un complesso sistema di anelli di feed-back, che consentono l’autoregolazione del sistema-pianeta.
In altre parole: la Terra è un organismo vivente, con un suo metabolismo e dei processi dinamici di autoregolazione. L’ambiente e gli organismi che lo abitano costituiscono un insieme inscindibile e vivo.
La vita può esistere soltanto in un pianeta vivente.
Uno scrittore, amico di Lovelock, gli suggerì di chiamare la sua teoria “ipotesi di Gaia”, perché rinverdiva un’idea antica quanto l’umanità: che la Terra sia viva.
Perciò si può dire che questa storia ricominci negli anni ’60: era stata soltanto dimenticata. D’altronde, se Lovelock, da buon scienziato, ha dovuto portare prove e modelli matematici a sostegno della sua ipotesi, l’umanità (o, almeno, una sua parte) l’ha sempre saputo, che la Terra è un grande essere vivente: come avrebbe potuto svilupparsi la vita su un pianeta inanimato?
Ma è un essere vivente molto particolare, perché viaggia nella sua orbita attorno al sole, e lo segue nel suo movimento negli spazi siderali: è un po’ come una grande astronave, come l’Enterprise di Star Trek o, se vogliamo, come la più piccola Soyuz, su cui astronaute ed astronauti vivono la loro esaltante avventura. Ed anche la Terra, come queste più piccole astronavi, deve difendersi dallo spazio infinito: ha le sue scorte d’aria e di acqua, di cibo e di combustibile; ha i suoi schermi protettivi; e, come le astronavi, non ha risorse infinite. Che cosa succederebbe se il capitano Kirk e il suo equipaggio, oppure Paolo Nespoli e i suoi compagni, decidessero di inquinare la loro astronave, di non riciclare i loro scarti, magari di di provocare – ogni tanto – un incendio al suo interno? Certo avrebbero vita breve. Le dimensioni della Terra e la sua capacità di adattarsi concedono al suo equipaggio (i terrestri) di vivere più a lungo, ma la differenza rispetto all’astronave è solo quantitativa.
Il ciclo dell’anidride carbonica è un esempio rappresentativo dell’ipotesi di Gaia e del problema “astronave” che ho qui abbozzato.
I vulcani terrestri hanno prodotto (e continuano a produrre) enormi quantità di anidride carbonica, gas che maggiormente contribuisce all’effetto serra. Gaia lo elimina dall’atmosfera con le sue piante e le sue alghe, che lo utilizzano nei processi di fotosintesi clorofilliana. Utile sottoprodotto della fotosintesi è l’ossigeno, di cui si nutre l’intero mondo animale (umani compresi). Un’altra parte della CO2 è consumata nella degradazione meteorica (catalizzata dai batteri del suolo) che la trasforma in carbonato. Questo viene utilizzato nei mari e negli oceani da miriadi di organismi (macro e microscopici) per costruire i loro gusci. Le rocce calcaree (come le Dolomiti, il marmo di Carrara o le scogliere di Dover, tanto per fare alcuni esempi) sono il risultato della trasformazione, chimica ed organogena, dell’anidride carbonica; e danno l’idea delle dimensioni titaniche del ciclo che Gaia mette in opera per mantenere costante la composizione dell’atmosfera, affinché questa possa proteggerci e farci respirare.
Ma tanta intelligente fatica non piace all’equipaggio dell’astronave Terra, che ha deciso di gareggiare con i vulcani a chi erutta più CO2 (e, purtroppo, di vincere, visto che oggi il 75% dell’anidride carbonica prodotta è di origine antropica). Ha deciso anche di inquinare il mare ed il suolo, al solo fine di ridurre la quantità di anidride carbonica assorbita nella degradazione meteorica e nella fotosintesi clorofilliana. Per soprammercato, approfitta delle giornate più calde di queste estati sempre più torride, per bruciare la maggior quantità possibile di alberi e piante, non senza produrre altra anidride carbonica e fumi, che a loro volta potenziano l’effetto serra. Si adopera attivamente per la desertificazione del pianeta, che rende sempre più difficile mantenere il prezioso equilibrio dell’atmosfera.
Gaia ha impiegato milioni di anni a fabbricare un ambiente adatto alla nostra vita, e noi le remiamo contro, come se i beni effimeri che produciamo a così alto costo valessero di più. È mai possibile che siamo così stupidi? E che questa stupidità sia più forte dell’istinto di sopravvivenza?
Sembra proprio che ci siamo cacciati in un vicolo cieco.
Tuttavia, considerato che oggi la maggior parte dell’anidride carbonica è prodotta dall’uomo e dalle sue attività e non più dai vulcani, questa tremenda responsabilità ci indica anche la via d’uscita. Visto che il 75% dell’anidride carbonica prodotta è di origine antropica, non dovrebbe essere difficile, volendo, ristabilire l’equilibrio.
Eppure, sembra che sia molto difficile. Forse non è vero che l’uomo sia un animale intelligente: forse è soltanto un animale stupido.
I termini del problema non sono, però, così semplici. Perché gli interessi economici di una minoranza che realizza immense ricchezze con questo scellerato sistema si sostiene sul sonno di una maggioranza troppo poco consapevole. Eppure quella stessa minoranza, apparentemente così attenta ai propri interessi, non sopravviverà agli effetti della distruzione dell’astronave su cui vive. Così, il problema dell’equilibrio di Gaia si trasforma in un problema politico del tutto nuovo. La novità consiste nel fatto che minoranza al potere e maggioranza sonnolenta sono in qualche misura corresponsabili e, soprattutto, sono sulla stessa barca (o astronave). Il problema non riguarda più soltanto una parte, come nelle rivoluzioni del passato, ma l’interezza inscindibile dell’umanità.
È pur vero che i “capi” dell’equipaggio si sono riuniti più volte, stilando gli accordi di Kioto e di Parigi, ma sembrano non rendersi conto che serve uno sforzo più grande. Anzi, c’è chi vorrebbe fare marcia indietro, in omaggio a un concetto davvero demenziale: America first! Ma prima in che cosa? Prima nel disastro? Il guaio è che siamo impreparati al nuovo tipo di rivoluzione che sarebbe necessario: una rivoluzione delle coscienze e degli stili di vita; l’abbattimento degli inutili e vecchi concetti di economia e di politiche nazionali.
L’unico capo di stato che abbia sostenuto pubblicamente che il rispetto della natura e il salvataggio del pianeta sia la vera priorità politica del momento, è stato il capo del più piccolo stato del mondo, di fronte al plenum delle Nazioni Unite: Papa Francesco. Non ho avuto la fortuna di sentire parole simili da nessun altro. E questo la dice lunga sull’importanza del problema e sulla pochezza dei “politici”, presi come sono dalle loro piccole priorità di bottega, o di nazione: che è lo stesso.
Fino al 25 settembre 2015 (data del discorso alle Nazioni Unite) non mi era mai parso che le parole di un Papa rappresentassero così bene le esigenze dell’intera umanità. Permettete, perciò, a un “non cattolico” di citarne alcune frasi:
“Anzitutto occorre affermare che esiste un vero “diritto dell’ambiente” per una duplice ragione. In primo luogo perché come esseri umani facciamo parte dell’ambiente”.
“Qualsiasi danno all’ambiente, pertanto, è un danno all’umanità”.
“L’abuso e la distruzione dell’ambiente, allo stesso tempo, sono associati ad un inarrestabile processo di esclusione. In effetti, una brama egoistica e illimitata di potere e di benessere materiale, conduce tanto ad abusare dei mezzi materiali disponibili quanto ad escludere i deboli e i meno abili”.
“La crisi ecologica, insieme alla distruzione di buona parte della biodiversità, può mettere in pericolo l’esistenza stessa della specie umana. Le nefaste conseguenze di un irresponsabile malgoverno dell’economia mondiale, guidato unicamente dall’ambizione di guadagno e di potere, devono costituire un appello a una severa riflessione sull’uomo: «L’uomo non si crea da solo. È spirito e volontà, però anche natura»”
“Tale comprensione e rispetto esigono un grado superiore di saggezza, che accetti la trascendenza, rinunci alla costruzione di una élite onnipotente e comprenda che il senso pieno della vita individuale e collettiva si trova nel servizio disinteressato verso gli altri e nell’uso prudente e rispettoso della creazione, per il bene comune”
Non è una prospettiva rivoluzionaria? e che aspettiamo a farlo capire anche ai “politici”?

di Cesare Pirozzi

Print Friendly, PDF & Email