1978: l’anno di Aldo Moro

L’altoparlante che avevamo in tutte le aule del liceo non aveva mai niente da dire. Gracchiava qualche volta come se inavvertitamente qualcuno avesse urtato l’interruttore, ma si taceva subito. La mattina in cui finalmente l’altoparlante parlò in tutte le classi, comunicando che le Brigate Rosse avevano rapito l’onorevole Aldo Moro, ci precipitò nell’età adulta. La voce metallica che non avevamo mai nemmeno immaginato, la notizia difficile, drammatica, non scolastica che ci dovettero spiegare, furono il segno di una data, quella del ‘78, che non avremmo potuto dimenticare.
L’anno era cominciato con la strage di Acca Larentia a Roma: tre militanti missini erano stati uccisi alla sezione del M. S. I. Tre ragazzi, avevano 20 anni, poco meno e poco più.
La Terra mandava i suoi primi S. O. S.: ci si era accorti di un pericoloso buco nell’ozono provocato dall’emissione di CFC delle bombolette spray e la Svezia per prima ne aveva bandito la vendita. Ciononostante la Francia effettuava i suoi esperimenti nucleari a Mururoa. L’Italia celebrava il suo 28° festival di Sanremo. Il comico di turno era Beppe Grillo; Gianna, nella canzone di Rino Gaetano, difendeva il suo salario dall’inflazione. La FIAT Ritmo debuttava al Salone dell’automobile di Torino. La Juventus si cuciva sulla maglia il suo 18° scudetto. Era il 7 di maggio, Reinhold Messner era a un passo dalla vetta dell’Everest, la vicenda di Aldo Moro era a un passo dalla fine. Due giorni dopo, a quasi due mesi dal suo rapimento, il presidente della Democrazia Cristiana veniva “giustiziato” dalle Brigate Rosse e rinchiuso nel bagagliaio di una R4 rossa. Ucciso, ebbe a dire Don Dossetti interpretando il sentimento di un Paese intero, come un agnello sacrificale. Nello stesso giorno moriva ammazzato per mano mafiosa Peppino Impastato.
Baronchelli e Moser davano lustro al Giro d’Italia, gli italiani si preparavano all’estate acquistando la TV a colori per seguire in poltrona i mondiali in Argentina si affacciava l’estate della pipa CT di Bearzot e di quella presidenziale del partigiano Pertini.
Sull’isola di Cavallo Vittorio Emanuele di Savoia uccideva a fucilate un ragazzo tedesco, nel Nord dell’Inghilterra nasceva la prima bambina in provetta, dalla Giamaica dilagava nel mondo la musica reggae, Jimmy Connors vinceva il Grande Slam e gli accordi di Camp David provavano a placare l’instabilità mediorientale. Era l’anno dei tre papi: morto Paolo VI, dopo la breve parabola di papa Luciani, per la prima volta dopo 500 anni si affacciava su piazza San Pietro un pontefice non italiano. “Se sbaglio, mi corigerete”. Il suo pontificato sarebbe stato il più lungo della storia.

Da quel 1978 sono passati 40 anni.
La mafia uccide ancora , la Juventus conquista l’ennesimo scudetto. Di quei giorni ci sono rimaste la legge Basaglia e quella sull’interruzione volontaria della gravidanza. Sono sopravvissuti per quarant’anni Beppe Grillo e il buco nell’ozono, l’instabilità del Medio Oriente, l’inesausta discussione sulla bioetica nata allora, il festival di Sanremo, inossidabile come il Giro d’Italia.
Per contro abbiamo perso il politichese poco comprensibile delle tribune elettorali, la scritta Roma per esteso sulle targhe automobilistiche, le sedi dell’M.S.I., del P. C. I. e della Democrazia Cristiana. Non ci sono più le Brigate Rosse e la Ritmo, il pensiero riflessivo delle pipe di Pertini e di Bearzot, il bianco e nero della tv.
Ma quel che più ci manca di quel ‘78 è la statura morale di certi uomini politici, la loro lungimiranza:
“Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere.” (Aldo Moro)

di Daniela Baroncini

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