Nomadelfia, un ritorno alla chiesa delle origini
C’è qualcosa di urgente, nell’attenzione pastorale alle esperienze di “chiesa delle origini” di papa Francesco.
Sembra quasi che qualcosa lo motivi con la possibile brevità, di cui talvolta ha parlato, del suo pontificato. E con la necessità di dare esempi di una chiesa dei poveri tanto diversa, anzi, agli opposti estremi, della chiesa istituzionale arroccata nella curia, paludata nelle corti dei cardinali “prìncipi della chiesa” e con molte colpe, dalla finanza dello Ior alle debolezze contro la pedofilia e a favore di regimi politici corrotti ed oppressori.
Così, nell’ultimo anno si è recato nei luoghi di Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Tonino Bello, Zeno Saltini, Chiara Lubich, dove, con modi diversi, sono stati sperimentate e sono vissute forme della nuova Civiltà Cristiana annunciata nei suoi insegnamenti e nelle sue Esortazioni Apostoliche.
Pensiamo a Nomadelfia, prima nel campo di Fossoli, (negli anni dopo l’armistizio del 1943), poi in Toscana, presso Orvieto. Con don Zeno che ancor prima scriveva sul suo giornalino parrocchiale: “Noi siamo coloro che hanno sofferto, pianto, lottato per tirare su la nostra gioventù rovinata dal fascismo .. Operai, contadini, lavoratori in genere che siete sempre stati sfruttati più dei buoi, onesti datori di lavoro, uomini di buona volontà, venite tutti e ascoltatemi .. Vigliacchi e sfruttatori statevene pure a casa perché a voi non spetta, in questo momento, altro compito che attendere per imparare da noi come si realizza una vera fraternità cristiano-sociale” … Subito arrestato dai fascisti, fu carcerato in attesa di giudizio, ma venne liberato per la compatta protesta popolare.
E nacque Nomadelfia, “Dove la fraternità è legge”, che è la chiesa dei poveri, che vivono in comunione:
“Nomadelfia è una realtà profetica che si propone di realizzare una nuova civiltà, attuando il Vangelo come forma di vita buona e bella”, ha detto papa Francesco nella sua visita, aggiungendo che “la legge della fraternità, che caratterizza la vostra vita, è stato il sogno e l’obbiettivo di tutta l’esistenza di don Zeno, che desiderava una comunità di vita ispirata al modello delineato negli Atti degli Apostoli.”
Pensiamo anche a Loppiano, dove Francesco è stato nei giorni scorsi, in visita alla prima delle cittadelle realizzate in tutto il mondo dal “movimento dei focolarini” di Chiara Lubich, un movimento partecipato da persone anche di altre religioni, che si impegnano a vivere in modo radicale i principi evangelici dell’unità, anche attraverso la “Economia di Comunione” (alla quale hanno aderito un migliaio di aziende) che concretizza una responsabilità sociale delle imprese attraverso una distribuzione degli utili in parti uguali: un terzo ai poveri, un terzo per lo sviluppo dell’azienda, un terzo per la formazione dei membri del movimento.
Negli ultimi anni le conclusioni del Sinodo sulla Famiglia hanno comportato resistenze all’interno del mondo cattolico borghese dei paesi avanzati, ancorati al loro modello di famiglia che non esiste per più di cinque miliardi di donne ed uomini della terra.
E c’è da chiedersi come mai la vita di comunità di Nomadelfia possa essere stata avversata nella chiesa del passato, fino a costringere allo stato laicale don Zeno (non poteva neanche celebrare messa o confessare all’interno della sua grande famiglia).
Poi nel 1962, il giusto, totale riconoscimento da parte di Giovanni XXIII°: reintegrazione nel sacerdozio, e riconoscimento dell’opera, elevata a parrocchia.
A Nomadelfia i gruppi di più famiglie (sono 11, sparsi su 120 ettari, ciascuno con 4-5 nuclei) conducono vita in comune, hanno un edificio centrale con la cucina, la sala da pranzo, il soggiorno, le stanze per i servizi; poi altre piccole case individuali dove ogni famiglia ha le camere per la notte.
A Nomadelfia si svolgono lavori per le persone di tutto il gruppo, si prega insieme. Anche l’educazione dei bambini è condivisa, con maggiore sostegno a chi ha più bisogno, con una grande apertura sociale.
A Nomadelfia le famiglie sono aperte all’accoglienza dall’esterno, in ognuna si hanno figli propri e figli in affido. Questi ultimi sono minori inviati dal tribunale, come ragazzi dispersi tra i migranti, o di per necessità di famiglie esterne, anche con gravi problemi di salute o di comportamento, e con affidamenti che possono essere temporanei o con tempo illimitato.
A Nomadelfia c’è una economia alternativa. Non circola denaro. Quello ricavato dai beni prodotti (in particolare dal lavoro agricolo) e quello ricavato da pensioni o da rette dello stato per gli affidi viene raccolto in una cassa comune. Ad essa viene data anche la lista della spesa da parte di ogni nucleo familiare, che riceve dal magazzino comune quanto necessario.
Economia di comunione, economia alternativa. E nel mondo qualcuno ha realizzato il microcredito, il bengalese Muhammad Yunus per il suo lavoro e le sue realizzazioni ha avuto il premio Nobel per la pace.
Vita di comunità, lavoro comune. E nel mondo ci sono organizzazioni come i kibbutz che non sono molto diversi, salvo che Nomadelfia vive nella pace, non ha armi, è una realtà che vive come nei primi anni del Cristianesimo: “Guardate come si amano!”
I bravi borghesi dei paesi avanzati su queste economie alternative, su questi rapporti di solidarietà e d’amore, su queste vite di comunità, insieme, arricceranno il naso, forse si sdegneranno..
Ma siamo sicuri che non possano essere una prospettiva di vita migliore, cioè più felice, per i cinque miliardi di persone che oggi vivono nella povertà estrema?
Siamo sicuri che non possano essere una soluzione per la maggioranza delle donne e degli uomini della terra?
di Carlo Faloci