“L’arte da accarezzare”. Un amore tangibile ma invisibile agli occhi

Luci e ombre dell’arte tattile nella mostra “Contatto. Sentire la pittura con le mani”

“Crediamo di vedere dove dovremmo solo sentire e sentire tattilmente; infine vediamo tanto e così velocemente da non sentire più nulla, e da non esser più in grado di farlo”. Così scriveva nel 1778 J. G. Herder, confrontando vista e tatto. Attraverso la sua analisi, Herder sottoponeva un quesito ai lettori: si possono disimparare quei linguaggi che, un tempo innati ma poi sommersi da altre forme comunicative, risultano estranei in età adulta?

È la premessa della mostra “Contatto. Sentire la pittura con le mani”, presso Palazzo Braschi a Roma, dal 28 giugno fino al 1 ottobre. L’esposizione è il prosieguo di “Raffaello, Correggio, Caravaggio: un’esperienza tattile. Sulle orme di Scannelli”, allestita nel 2016 presso Palazzo Rospigliosi a Zagarolo, ma con esiti diversi. Seppur sorte con gli stessi intenti, le due mostre presentano molte differenze che oscurano un progetto virtuoso: trasmettere la fruizione di un’opera d’arte secondo un non vedente e renderla universalmente accessibile.

Quattro quadri tattili delle opere di Caravaggio, Raffaello e Correggio, in una location che, per centralità e gratuità, non può che spronare a prenderne parte. Peccato che le barriere, più che fisiche, siano concettuali.

La mostra “Contatto”, volta a una condivisione artistica oltre i limiti fisici, catapulta nel buio lo stesso progetto culturale. L’esperienza, nel vivo di Piazza Navona, è costituita da una sala espositiva cupa, spoglia. Nessun volontario del Servizio Civile Nazionale accoglie i partecipanti per guidarli all’interno della mostra, nessun’audioguida o sentiero li affianca.

Al contrario, Palazzo Rospigliosi offriva una sala “rompighiaccio” per colmare le differenze cognitive, mediche e socio-culturali offrendo un parallelismo fra due linguaggi distanti, ma non irraggiungibili: chi vede e chi invece percepisce la realtà. Dei pannelli illustrativi sui quadri tattili approfondivano il ruolo svolto dalla strumentazione tecnologica e, con un touchscreen, era possibile visualizzare mappe concettuali con testi e immagini. “Gli operatori sono un riferimento importante durante il percorso – ha spiegato la Dott.ssa Camilla Capitani, consigliera dell’Unione Ciechi di Roma – Hanno guidato le nostre mani sui bassorilievi, facendoci toccare tessuti e gioielli per prepararci al riconoscimento degli stessi nelle opere, spiegando come percepire la prospettiva”.

Lo conferma Rosella Frittelli, ipovedente, che ha visitato la mostra di Zagarolo nel 2016: “Sono nata con un glaucoma e, nel tempo, ho perso quasi del tutto la vista. Nonostante ricorra a un vasto archivio d’immagini, riesco a percepire meglio un’opera d’arte se si tratta di una scultura a tutto tondo. Un bassorilievo, senza una guida qualificata, è poco fruibile. È complicato per me, figuriamoci per chi è non vedente dalla nascita”.

Perciò la tecnologia è fondamentale: “La creazione dei quadri tattili – spiega Alessandro Marianantoni, direttore artistico dell’esposizione e di Mediars – avviene associando alcune tecnologie di altissima risoluzione e il lavoro manuale di 3D Artist, che interpretano le indicazioni degli storici dell’arte con un processo di stampa standard del master in alluminio”.

L’effetto di “Contatto” a Palazzo Braschi è invece alienante: una luce artificiale nella prima area della mostra, un soffocante stanzino dove a parlare del progetto è la voce di Aldo Grassini (ideatore e presidente del primo museo tattile al mondo, il Museo Omero di Ancona), unico referente di un’esperienza nascosta non alla vista, ma a una promozione efficace. Le quattro riproduzioni sono abbandonate a se stesse in due stanze vuote. La sensibilizzazione si riduce a delle semplici mascherine per catapultare i visitatori in un percorso che, però, rende partecipi solo a metà.

Una “menomazione sociale”, un’occasione mancata, visto lo strumento educativo che la mostra potrebbe rappresentare. Soprattutto alla luce di un recente studio, pubblicato dalla rivista Lancet Public Health e condotto da Rupert Bourne della Anglia Ruskin University, per cui “il numero dei non vedenti nel mondo rischia di triplicare da qui al 2050 […], passando da 36 a 115 milioni”. Com’è possibile, allora, per un vedente, comprendere l’esigenza dell’esperienza culturale per chi normalmente ne è escluso, se neanche chi allestisce l’esposizione riesce a esaltarne l’importanza?

BARBARA POLIDORI

“Il tatto elimina la distanza, – racconta Grassini – quando tocchiamo l’opera d’arte diventiamo una cosa sola con essa. Preferisco dire accarezzare anziché toccare perché, quando si tratta di cose che amiamo, come l’arte, non ci accontentiamo di guardarle. Quando si tocca una scultura, il desiderio è di fondersi con essa”.

D’altronde, l’arte è frutto di percezioni e se manca la sensibilità verso lo spettatore e verso l’opera stessa, non si può dire che l’esperienza sia totalmente riuscita.

di Rara Piol e Barbara Polidori

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