La violenza contro le donne, e il problema di una sottocultura (femminile) dura a morire

L’avvicinarsi della data del 25 novembre obbliga tutti, chi più chi meno, a sentirsi in dovere di dire, fare, condannare ogni violenza, sbandierare la necessità di pari diritti, organizzare manifestazioni. Anche questo 25 novembre vedremo monumenti illuminarsi di rosa, piazze riempirsi, studi televisivi affollarsi di attivisti indignati pronti come ogni anno a elencare numeri e nomi che già conosciamo e sostenere con forza i propri tentativi di sradicare una cultura della violenza che, anno dopo anno, cambia e forse si rafforza, diventando più subdola e sottile.

Sia chiaro: una Giornata che sia di riflessione su quanto stia andando indietro la cultura occidentale è sacrosanta, obbligatoria. Fermarsi per rendersi conto di quanto tutti siano vittime o carnefici nei confronti delle donne, anche in una parola, in un gesto involontario, un esame di coscienza che tutti dovrebbero fare. Ma all’avvicinarsi della data è obbligatorio altrettanto dare un’occhiata agli ultimi episodi di cronaca legati alle donne. In questi giorni, durante l’udienza preliminare nei confronti Alessio Mantineo, accusato di aver dato alle fiamme Ylenia Bonavera, la ragazza afferma di amare ancora il suo ex fidanzato, pronta a difenderlo perché innocente. Nei pressi di Lamezia Terme, un uomo è stato arrestato per aver segregato e violentato per dieci anni una donna: si scopre che mesi addietro era già stato segnalato e condannato per un episodio simile. Lo scandalo Weinstein, la denuncia di Asia Argento e le decine di casi simili finalmente raccontati, finora tenuti nascosti per timore, ma che hanno provocato in tanti e tante una sola reazione: “Perché parlare solo ora?”

Casi di cronaca diversi che dovrebbero tutti, indistintamente, provocare l’indignazione dell’opinione pubblica. Eppure, tranne nel caso in cui vittima e carnefice siano ben riconoscibili, spesso chi osserva commenta con il “si, ma, eppure” che rimette le carte in gioco. Donne che difendono e giustificano i propri uomini. Donne che accusano altre donne di essersela cercata. Di aver mandato segnali negativi. Di non essere state chiare nel proprio rifiuto, nell’aver guadagnato da avances e attenzioni particolari. Donne nemiche di sé stesse che sono il primo muro da abbattere se si vuole insegnare alle bambine di oggi prima di tutto il rispetto di sé. Come può una ragazza adolescente pretendere solo amore e non i suoi surrogati se altre donne come lei le insinuano il senso di colpa per una minigonna, il drink di troppo bevuto, la paura di tornare da sola a casa? Come si può allo stesso tempo lottare per le quote rosa, i pari diritti sui posti di lavoro, se esiste una (sotto)cultura forte e resistente che in fondo le donne le vede bene ancora a casa insieme ai bambini?

Si facciano manifestazioni e dibattiti, il 25 novembre. Ma si lavori tutto l’anno insieme alle donne, per insegnar loro consapevolezza e rispetto. Gli uomini che non alzeranno un dito contro di loro nasceranno da queste donne qui, e non ci sarà bisogno di educarli.

di Giusy Patera

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