“In principio” era la curia vaticana.

Tanto tuonò che piovve, vale anche per la chiesa cattolica. Mentre papa Francesco partiva per un nuovo viaggio pastorale nel mondo come segno di speranza di fronte al declino relativistico dei paesi civili e come un messaggio, quello cristiano, per i popoli della terra che non hanno avuto modo di conoscerlo, qui da noi, nell’intervista concessa sul Corriere della Sera a Massimo Franco dal cardinale Gerhard Ludwig Muller venivano sottolineati, anzi esplodevano, i segni di contraddizione e le trame occulte nel mondo vaticano.

Sono ormai più di sessanta i viaggi del pontefice. Questi ultimi dedicati a paesi dell’Asia, un continente che per tanti aspetti sarà protagonista del futuro.

Nonostante gli sforzi della diplomazia vaticana, non è ancora riuscito ad approdare in India, dove il presidente nazionalista Ram Nath Koving procede a continui rinvii.

Ugualmente, non arrivano ad un risultato per ora i contatti con la Cina – forse l’obbiettivo più interessante. Sarebbe certamente notevole, al riguardo, lo scalpore che si avrebbe in Occidente per un eventuale incontro con la repubblica popolare del presidente Xi Jinping del papa che da alcuni è definito “comunista”!

Intanto, in questi giorni, il pontefice si è recato nel Myanmar (già Birmania), stato a religione maggioritaria (e intransigente) buddista, nel quale è in corso una spietata discriminazione, quasi un genocidio, verso la popolazione Rohingya (di religione islamica). Si tratta di una discriminazione con condizioni simili a quelle antiebraiche del periodo fascista e tali da costringere oltre mezzo milione di persone ad una pesantissima emigrazione verso il Bangladesh.

Si è di fronte ad una situazione con gravi ambiguità di comportamento anche da parte della Presidente San Suu Kji, premio Nobel 1991 per la pace, condizionata dal potere dei militari. Per la visita, infatti, è stata imposta la condizione che non si abbiano contatti con i Rohingya e non se ne faccia menzione nei colloqui ufficiali.

Il viaggio del papa è proseguito poi verso il Bangladesh (già Bengala).

In esso si è presentato come pellegrino di pace, di una vera pace, in un paese a maggioranza musulmana – quasi totalmente sunnita.. Perché pace, nel Bangladesh, è una parola che serve, in un paese di 140 milioni di abitanti, nel quale si registra una continua presenza di jihadisti (che ha portato alla strage di Dacca, con 22 morti, di cui 9 italiani).

La durissima miseria e l’estremo sfruttamento esistente nel paese per la grande maggioranza della popolazione hanno comportato un alto tasso di migrazione, che ha subito una spietata caccia al migrante dalla confinante India induista. Conseguentemente la migrazione si è diretta verso l’Europa, con buoni risultati, atteso che i cittadini bengalesi sono di regola giudicati lavoratori pazienti e dedicati con assiduità agli incarichi affidati, anche con propria presenza di lavoro autonomo.

Si comprende quindi come il pontefice abbia voluto visitare il Bangladesh, per portare la voce della chiesa dei poveri e per i poveri, che fa parte assoluta del suo magistero.

Un magistero che d’altra parte è sempre di più ostacolato all’interno dell’apparato curiale e clericale, nel quale sussiste un clima pesante di accuse, sospetti, maldicenze, false delazioni, difese di interessi personali.

In questi giorni si è verificato un momento di dura verità. Nell’intervista ricordata all’inizio, il card. Muller si esprime con questo esordio sconvolgente:

“C’è un fronte dei gruppi tradizionalisti, così come dei progressisti, che vorrebbe vedermi a capo di un movimento contro il Papa”.

Il cardinale prosegue: “Ma io non lo farò mai”. La posizione di Muller è chiara per quanto riguarda il dolore (non c’è rancore) per le vicende subite, con anonime accuse da lui definite “immotivate” nei confronti di suoi collaboratori e il successivo suo mancato rinnovo nella posizione di Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Aggiunge poi: ”I veri amici non sono coloro che adulano il Papa ma quelli che lo aiutano con la verità e la competenza teologica e umana. In tutte le organizzazioni del mondo i delatori di questa specie servono solo se stessi”.

Questo però non significa che altri non possano tentare di farlo, un movimento contro Francesco. Ha detto ancora il cardinale: “Attenzione, se passa la percezione di un’ingiustizia da parte della curia romana, quasi per forza d’inerzia si potrebbe mettere in moto una dinamica scismatica, difficile poi da recuperare”.

Sono momenti dolorosi, per il papa venuto dalla fine del mondo.

Non è facile una lettura laica della situazione, per capire se si è di fronte ad una minaccia reale.

Se il “non praevalebunt” – non prevarranno – motto della testata de “l’Osservatore Romano” non avrà più senso.

Se è arrivata la fine, per l’unica società che dura da duemila anni e che ha segnato il corso della storia e del potere nei paesi cosiddetti civili.

Ma certamente questo è un segno, un altro segno del declino della società occidentale, della vecchia Europa.

di Carlo Faloci