FRATELLI D’ITALIA (QUELLI VERI)
Nel 1946 l’Inno di Mameli fu scelto come “provvisorio” inno della neonata Repubblica Italiana. Per oltre settant’anni, è stato suonato negli eventi ufficiali come nelle partite di calcio, rappresentando musicalmente l’Italia, senza che nessuno si curasse della sua provvisorietà. E’ stato anche frainteso da qualche intelligente leghista, che credeva che la frase “che serva di Roma Iddio la creò” si riferisse all’Italia e non alla vittoria, e perciò alzava il dito medio: tanto per dire quanto si può fare cosa stupida e volgare pur sedendo in Parlamento. In un certo senso, questo provvisorio e frainteso inno ben ci rappresenta: non per niente si dice che in Italia nulla dura più a lungo del provvisorio!
Finalmente, dallo scorso novembre l’inno è diventato definitivo. Personalmente, non mi piace alla follia, lo trovo un po’ troppo retorico per i miei gusti; forse avrei preferito “La canzone del Piave”. Scritta da E. A. Mario, il canzonettista più in voga dell’epoca (autore anche di Tammurriata nera), evoca la resistenza sul Piave, che scongiurò la disfatta nella Grande Guerra: dal “catenaccio” del Piave alla vittoria in… contropiede. Siamo fatti così, anche nelle vicende più drammatiche!
Ma l’inno di Mameli ha una storia anche più significativa, che lo nobilita e ne fa una cosa preziosa: una storia d’altri tempi, una storia di ideali romantici e di idee senza tempo.
Goffredo Mameli era un rivoluzionario. Al punto di imbracciare le armi e combattere, mettendo in gioco la vita. Lui, giovane poeta di buona famiglia e di belle speranze, rischiò (e perse) la vita per l’ideale di veder nascere una cosa nuova, mai prima esistita: l’Italia. Ma perché? Perché mai tanta gente voleva fortemente non solo l’indipendenza (che è abbastanza comprensibile: nessuno vuole essere suddito di uno straniero) ma soprattutto un’Italia unita con Roma per capitale? era così importante che valeva la pena morire?
Se oggi ci si compiace della scomparsa delle ideologie dalla scena politica, allora le ideologie muovevano la gente che non condividesse una politica basata sugli interessi. Ma forse è più giusto dire ideali: libertà, uguaglianza, fraternità, ancora vivi dopo il tramonto della rivoluzione francese. Ideali che volevano dire anche giustizia sociale, dignità della persona umana, pace tra i popoli, anch’essi finalmente uguali e affrancati dalla politica degli interessi. E infatti, molti di loro, come Mazzini, erano repubblicani e socialisti, e già ipotizzavano un’Europa unita. Ideali, ma soprattutto – e semplicemente – idee, che non hanno perso nulla della loro attualità. E che sono ancora inattuate.
Fatto sta, che nel ‘48 succede qualcosa di incredibile: un gruppo di giovani rivoluzionari, assieme a molta gente comune capitanata da un popolano soprannominato Ciceruacchio, a Garibaldi con il suo piccolo esercito di straccioni, a Mazzini e ad una giovane donna russa (Emma Blavatsky, quella della teosofia) si ritrovano a rovesciare il regime del “Papa-Re” ed a governare e difendere la Repubblica Romana. È un fatto incredibile, che per un attimo sconvolge l’Europa ed il mondo intero. E per capire quali idee animassero quegli sconsiderati, bisogna leggere la Costituzione che diedero a quella effimera e meravigliosa Repubblica.
Questi sono i suoi “principi fondamentali”:
I – La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica.
II – Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta.
III – La repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini.
IV – La repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli: rispetta ogni nazionalità: propugna l’italiana.
V – I Municipii hanno tutti eguali diritti: la loro indipendenza non è limitata che dalle leggi di utilità generale dello Stato.
VI – La più equa distribuzione possibile degli interessi locali, in armonia coll’interesse politico dello stato è la norma del riparto territoriale della repubblica.
VII – Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici.
VIII – Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per l’esercizio indipendente del potere spirituale.
Non è bella, chiara, attuale nonostante i suoi 170 anni di età? Per queste idee, non vale la pena combattere e magari morire? E questo fece Mameli, oltre a scrivere i versi dell’inno. Assieme a tanta altra gente comune, che lui considerava “fratelli d’Italia”. Perché Mazzini gli aveva insegnato che solo se si è popolo e se ne ha la consapevolezza si può essere liberi, si può avere giustizia, si può costruire un mondo di pace. Gli aveva insegnato un socialismo che non rinnega la proprietà privata, perché si basa su principi etici e non economici, sulla volontà comune e non su una necessità storica; perché abbraccia tutti e non una sola classe sociale. E per essere popolo (e non sudditi), serve anche uno stato libero e indipendente; e l’Italia, secondo Mazzini, non poteva esistere senza Roma, che ne è la radice storica, linguistica e culturale. Se oggi questi concetti sono, purtroppo, un po’ obsoleti, nel ‘48 erano nuovi e rivoluzionari.
E quella costituzione andava avanti con coerenza, descrivendo diritti e doveri, che poi abbiamo aspettato un secolo intero per averli con l’attuale costituzione repubblicana. Anzi, stabilendo regole che ancora non abbiamo attuato, come lo ius soli, che quei pazzi regolavano così:
Articolo 1: sono cittadini gli originari della Repubblica ….. e gli stranieri col domicilio di 10 anni.
Qualche altro segno di modernità? L’articolo 5: le pene di morte e di confisca sono proscritte. L’articolo 7: La manifestazione del pensiero è libera, la legge ne punisce l’abuso senza alcuna censura preventiva. L’articolo 8: L’insegnamento è libero.
E qui mi fermo, ma vi invito a leggerla tutta: è la descrizione perfetta di una democrazia.
Ecco perché quel ventenne rivoluzionario ha scritto quel “Canto degli Italiani” che poi è diventato il nostro inno.
E ben per questo, l’inno fu vietato nel ventennio fascista (ma lo saprà la Meloni, che “Fratelli d’Italia” era inviso al fascismo?)
Meno famoso è Michele Novaro, che lo ha messo in musica. Anche lui giovane (non aveva 30 anni), anche lui rivoluzionario e patriota, si dedicò a imprese poco lucrose, come una scuola di canto popolare e gratuita. E fu sempre squattrinato, ad onta del talento musicale, che lo stesso Verdi stimava al punto di rifiutarsi di riscrivere la musica di quell’inno.
Sì, l’inno di Mameli rappresenta questa storia, nasce da queste grandi idee; è stato scritto da uomini disinteressati e coerenti. Forse non ne siamo degni, ma almeno rendiamogli omaggio ricordandoli con gratitudine e rispetto.
Da “Sfiorivano le viole” di Rino Gaetano:
Michele Novaro incontra Mameli
e insieme scrivono un pezzo
tuttora in voga mentre io – oh ye! – aspettavo…
di Cesare Pirozzi