La gruccia oltre la trincea

Non una medaglia d’oro ma una gruccia, una stampella da storpi: questo il premio ai vincitori della corsa nazionale elettorale. E ora non possono che scagliare questa gruccia oltre la trincea, contro le linee nemiche, proprio come fa Enrico Toti il 6 agosto 1916, prima di morire crivellato di colpi a Monfalcone. Non ci si poteva aspettare altro da una legge elettorale non solo perversa ma ampliamente illegale. Un’illegalità che nessuno dei contendenti ha denunciato e impugnato. A cominciare dal Movimento 5 Stelle, contro cui la legge è stata imbastita e cucita di frode e di fretta. Esso era l’unico gruppo ad avere forza politica e giuridica in grado di inficiare quell’obbrobrio legislativo. Quanto meno di renderne consapevole tutta l’opinione pubblica. Il calcolo, l’ansia politica di portare all’incasso elettorale il malcontento, il rancore popolare ha prevalso. Solo che parte dell’incasso se l’è portato via al volo la Matteo Salvini, urlando aggrappato a una liana nella giungla della paura sociale, dell’insicurezza pubblica e dell’intolleranza razziale. Anche lui, però, sceso dalla liana e toltosi la pelle di macaco si ritrova in mano solo la gruccia di Enrico Toti da scagliare oltre la trincea.

Ma chi c’è oltre la trincea? Un orizzonte vuoto, senza un nemico vero e proprio in armi e divisa. L’autentico sbarramento, infatti, non è davanti, ma giù, nel sottosuolo oscuro della trincea. Cavalcare o pettinare il pelo di superficie della bestia elettorale è un conto, domarne il caos epocale interiore tutt’altro. E che si tratti del sommovimento di una faglia antropologica di fondo, lo dimostra proprio un dato vistoso del risultato elettorale. Se correvano in queste elezioni elezioni due partiti-idee di radice ancora novecentesca, questi erano fondamentalmente il Pd e Forza Italia. Progressisti e conservatori, socialdemocratici e destro-centristi, laburisti e industrialisti. Con tutte le mutazioni – anche di sostanza – indotte dalla turbo-globalizzazione, il ceppo originario attorno a cui si avvolge la loro attuale vicenda rimane questo. E lo rimane anche nel senso del compromesso, dell’alleanza possibile, proprio come ultima frontiera per resistere insieme al tramonto epocale della politica. Resistenza già delineata, alla fine del secolo appena passato, da Moro e Berlinguer, ossia da una parte di ex Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano.

Quello di Pd e FI appare perciò non come un semplice, transitorio calo elettorale, ma quale prima evidente scopertura di un processo di declino più strutturale. Di conseguenza il contrasto tra progresso e conservazione viene a dislocarsi con sempre maggiore nettezza di clamori e colori su una inedita, cruciale biforcazione. Da una parte lo smart-futuro globalizzato a portata di presente, predicato e mostrato da Beppe Grillo nella sua blog-predicazione. Dall’altra una reazione sempre più identitaria, sovranista e securitaria. Reazione allo scardinamento dei limiti e dei confini – non solo geografici, politici ed economici – operato proprio dal tecno-domani mondiale che già invade l’oggi e ingoia il nostro ieri nazionale.

Da una parte – dunque – chi non è riuscito interamente a tradurre nella lingua dell’azione istituzionale quella tensione verso il futuro, quale inedita soluzione dei grandi mali umani, sociali e ambientali; dall’altra chi nuota forsennatamente contro una corrente storica troppo impetuosa per poter sperare di tornare a una sponda ormai non più raggiungibile. Entrambe queste forze divaricanti, sono costrette ora a segnare il passo nel fango di una vecchia trincea, senza poter valicare la nuova o riconquistare la vecchia frontiera, se non con il lancio di una simbolica quanto inutile gruccia da invalidi, ossia da elettoralmente, politicamente invalidati.

Possono questi due nuovi vettori unirsi insieme sul piano vecchio del vecchio spazio cartesiano per dare luogo a un ibrido equilibrio di governo? Potrebbero farlo – e forse lo faranno – solo sulla scorta di un accordo chiaro e circoscritto. Quello di un esercizio meramente istituzionale, limitato al varo di una ritentata riforma elettorale per nuove elezione nella primavera del prossimo anno. Naturalmente questo tipo di patto potrebbe valere anche senza impegnarsi direttamente in una loro compagine governativa. Vale a dire favorendo e poi astenendosi o appoggiando dall’esterno un governo del Presidente con le stesse caratteristiche neutre e di scopo, ossia ai fini di una successiva scadenza elettorale non oltre un anno.

Ma non si cadrebbe così ancora una volta nell’illusione (e magari anche in una nuova illegalità) di un vano strumento di superficie? L’illusione che l’ostacolo sia rappresentato solo dall’inerzia di quelle due residuali escrescenze novecentesche. Che una volta spazzate via, risucchiate a sé o ridotte al minimo queste due sopravvivenze, la strada per la loro piena ascesa al governo sarebbe completamente sgombra. Non è così. Le invalidità, le stampelle con cui si sorreggono se le portano dentro, nella visione non dell’orizzonte celeste ma del sottosuolo terrestre. Per quanto Salvini tenti di rifarsi a modelli autoritari centrorientali europei alla Orban, è troppo forte la spinta combinata di demografia, guerre, povertà, mutamenti climatici per illudersi di fermarla, asserragliando anche l’Italia dentro una fortezza blindata all’immigrazione. I problemi, di carattere strategico e strutturale si risolvono aprendo a progetti su adeguata scala internazionale. Soprattutto per l’Italia che si trova nel cuore, non solo del Mediterraneo, ma dell’intero Occidente.

È proprio questa collocazione del tutto peculiare del nostro paese che dovrebbe valere soprattutto per il movimento penta-stellato. L’ansia di gettare tra le ferraglie da fonderia tutti i vecchi schieramenti l’ha indotto a illudersi che fosse possibile agglutinare intorno a sé la maggioranza assoluta dei consensi elettorali, così da poter cominciare da soli a infuturare l’Italia. Ma i cittadini parlamentari che Beppe Grillo e Roberto Casaleggio hanno caricato della responsabilità istituzionale di realizzare tale progetto hanno davvero la cultura, la consapevolezza delle viscere, delle correnti carsiche sotterranee che scorrono sotto la pelle del futuro, configurandola in superficie? C’è da dubitarne, ma questo vale anche per i due stessi fondatori e per la maggioranza di tutta la classe politica e dirigente italiana.

Eppure è proprio l’Italia – nel suo essere cuore storico, geopolitico del mare-mondo occidentale – che deve assumersi la responsabilità di lanciare e tessere un grandioso progetto di visione e sintesi tra le possibilità continuamente innovative offerte dalla tecno-scienza e i grandi problemi di giustizia sociale, internazionale, ambientale. A qualsiasi contraddittorio, precario equilibrio di governo ora ci si deve inevitabilmente rassegnare, il tempo per approdare a quello successivo, dovrebbe essere speso per squarciare tale orizzonte. Solo così, infatti, si può legittimamente sperare di uscire dal pantano di una trincea non tanto di fango quanto di sabbie mobili, dalla quale sarà persino impossibile poi lanciare l’eroica, disperata gruccia dei grandi invalidi di una consunta guerra politica.