La guerra a trenta gradi sottozero

1915 1918, la grande guerra. Una guerra di posizione, allucinante, specialmente se combattuta in alta montagna.

Cengia Martini, questo era il nome di una postazione strategica per gli italiani. Arroccata sulle montagne, le dolomiti, dove si combatteva tra il gelo e la neve. Da li si poteva anche vedere Cortina d’Ampezzo. Nessun soldato avrebbe mai im­maginato ciò che sarebbe diven­tata Cortina.

Oggi località del lusso e di villeggiatura ieri fronte di guerra e al sol­dato che stava di guardia in quel­le trincee, scavate nel fianco della montagna, importava di più ripor­tare a casa la pelle. Non esisteva altro pensiero. La Cengia era una vera spina nel fianco per gli au­striaci. Una postazione maledetta­mente strategica. Per gli austriaci era da conquistare o eliminare nel più breve tempo possibile. Da lì, si potevano colpire le trincee au­stro-ungariche del passo di Valpa­rola, arrecando al nemico pesan­tissime perdite. Da quel punto si poteva guidare il tiro dei cannoni e centrare con estrema precisione le linee nemiche. Ma non c’era­no solo gli austriaci, c’era anche il freddo, il gelo e le improvvi­se bufere di vento, che facevano scendere la colonnina di mercurio addirittura a trenta gradi sotto-zero. La permanenza all’aperto,doveva essere molto breve. Molti tiravano le cuoia nella propria po­stazione di guardia, gelati come stoccafissi. E poi c’era il costante tiro dei cecchini, bastava scoprir­si un poco, alzare quel tanto la te­sta, per finire al creatore con un buco nel cranio. Questo avveniva per entrambi, sia per noi italiani, che per gli austriaci.

La Cengia fu chiamata Martini, in onore del Maggiore Ettore Martini che nel 1915 vi si attestò. Mai luogo fu cosi determinante per gli sviluppi del conflitto. Ma la situazione di belligeranza si trasformò subito in una situazione di stallo. Nessuno dei due eserciti riuscì a domina­re quella zona. Come fare allora per uscire da quella empasse? La risposta fu, gallerie ,e mine. Gli austriaci dall’alto scavavano nel ventre del Lagazuoi, con lo scopo di creare gallerie sopra la Cengia e imbottirle di tritolo. Facendo­le esplodere per distruggere la postazione italiana. Gli italiani, risposero con altre gallerie sotto quelle austriache, con l’intento, facendole saltare in aria, di an­nientare le postazioni austriache sovrastanti. Gallerie e mine, cu­nicoli e tritolo.

Mesi di questa guerra, che non portarono a nul­la. Hanno solo modificato l’aspetto della montagna. Una intera pare­te del Lagazuoi, trasformata per sempre. Rimane il fatto storico, che in quella Cengia, gli italiani hanno sempre mantenuto la loro posizione. Resta anche un’altra cosa, le gallerie. Una miriade di gallerie scavate nella dura roccia. Dagli austriaci e dagli italiani. Il 20 giugno 1917, una camera discoppio con trentacinque tonnel­late di tritolo, fu fatta esplodere sotto un avamposto austriaco can­cellandolo di netto. Ma per allog­giare tutto quel tritolo bisognava portarcelo. Fu costruita per que­sto una galleria che dalla Cengia portava a quota 2668 e lunga 1150 metri. Si sviluppava in maniera elicoidale.

Questa galleria è oggi visitabile, essendo stata messa in sicurezza. Ogni guerra ha i suoi modi per essere combattuta, in questo angolo delle Dolomiti, fu combattuta a colpi di mine. Quei luoghi di sofferenza anni più tar­di sarebbero diventati luoghi tu­ristici di alto livello. Luoghi che ancora custodiscono le spoglie dei soldati caduti e mai trovati, in quella montagna maledettamente inespugnabile.

di Antonella Virgilio