Ridateci le librerie
Il primo libro che ho regalato a mia figlia non esiste più. Se l’è mangiato tutto, di nascosto, un po’ alla volta. Era troppo piccola per un libro, forse. O forse era in quel passaggio della prima infanzia in cui il mondo è ancora solo da assaggiare. Col tempo gliene ho regalati altri, di libri: piccoli, grandi, telati, cartonati, sagomati, colorati. Libri bellissimi che girano ancora per casa, vanno da uno scaffale all’altro ogni volta che un bambino passa da qui e li sfoglia, ché poche cose al mondo hanno la magìa della pagina che volta su una illustrazione ben studiata. Dicono che se un genitore legge, con molta probabilità, anche suo figlio leggerà; che se in casa ci sono molti libri aumenta la probabilità che i figli leggano; che se si abituano i bambini a giocare con i libri fin da piccolissimi, anche fin da due anni, con molta probabilità leggeranno da giovani e da grandi. In casa mia non è andata così. Finita l’infanzia degli abbecedari e dei libri illustrati, superata qualche serie di narrativa per ragazzi, è arrivato Internet e la lettura di mia figlia è rimasta soltanto legata ai testi scolastici. E non si tratta di un caso isolato.
Nei primi anni ‘60, quando la licenza elementare era il massimo titolo di studio dei tre quarti della popolazione, e l’8% era ancora analfabeta, solo il 16% degli italiani leggeva. Il boom della lettura è arrivato nella seconda metà degli anni ‘80, ma nei vent’ anni successivi la crescita del numero dei lettori è rallentata. Dal 2010 ad oggi più di 3 milioni di lettori si sono persi per strada, soprattutto i giovanissimi, che sono quelli che leggono di più. L’uso di Internet è entrato in concorrenza con la lettura dei libri (e non solo). Se in una prima fase i maggiori utilizzatori della rete erano anche i maggiori lettori, oggi la rete non serve per leggere. I lettori in Italia sono scesi al 40%. Sei persone su 10 non amano i libri e vengono considerati “lettori” i 23 milioni di italiani che dichiarano di aver letto almeno un libro in 12 mesi per motivi non strettamente scolastici o professionali.
La crisi dell’editoria ha di fatto chiuso le librerie, non ci resta che la lettura digitale, che ancora però non decolla. Perché il Kindle, per citare il più venduto tra i dispositivi di lettura elettronica, rifugio per gli irriducibili, unica salvezza per chi ha trovato chiuse le serrande delle piccole librerie di paese, non è un libro.
E’ un’altra cosa.
Se a un libro facilmente ci si affeziona, si fa molta fatica a voler bene a un dispositivo di lettura elettronico.
Il libro elettronico non ha spessore, non ha volume, pesa sempre 290 grammi, sia che contenga Anna Karenina che una collezione di solo 30 poesie. E’ asettico: non profuma di inchiostro né di polvere di scaffale. E’ anonimo e incolore: non ha copertina, si accende direttamente sull’ultima pagina lasciata aperta senza rivelarti il titolo del libro che stai leggendo e il nome dell’autore. Il libro elettronico è traditore: finisce all’improvviso perché non c’è modo di avvertire tra le dita il calare man mano delle pagine rimaste. Non arreda, non si mostra, non lascia in giro per casa nessuna traccia di tutti i libri che contiene, non diventa patrimonio familiare condivisibile. E’ egoista: un libro chiuso nel Kindle non si può prestare a un amico, non si può regalare, non invecchia insieme a noi, non evoca ricordi.
Irrimediabilmente perduto il rito della passeggiata tra gli scaffali delle librerie ormai chiuse, l’ereader ti permette di acquistare un libro ad ogni ora del giorno e della notte, in cielo, in terra e in ogni luogo raggiunto dalla rete, foss’anche la stazione internazionale che orbita intorno alla Terra o un faro su uno scoglio sperduto nel mare. Il libro elettronico si può leggere anche al buio, e questo è un vantaggio anche se la lampadina notturna accesa sul comodino, che denunciava una sentinella in veglia sul sonno della casa, ci dava più sicurezza.
di Daniela Baroncini