La conquista del tramonto
L’Occidente è un presente nell’atto del suo tramonto. Un tramontante. Viene dal latino occĭdens–entis, participio presente di occĭdĕre,da ob e cadĕre (del sole). L’Occidente tramonta continuamente a sé stesso, a ogni suo farsi storia, cultura, civiltà. Tramonta l’originario mytos, e già, nell’aurora del successivo logos, comincia a tramontare come visione, pensiero, parola, discorso dell’insieme, dell’essere come intero. Specializza, divide il suo sapere nelle diverse branche, discipline, tecniche, scienze del discorso umano. Il Tramontante è così anche il Dividente. Ogni visione specializzata fa cadere dietro il suo orizzonte particolare quella d’insieme. Non solo, ma approfondendo lo sguardo dentro di sé, per specializzarsi sempre di più, non può che distoglierlo dalle altre di visioni. I vari sguardi, le varie visioni diverse si costituiscono così come interpretazioni, spiegazioni teoriche, ipotetiche, scientifiche diverse che il Tramontante dà di sé stesso. Interpretazioni, che si strutturano in vere e proprie contrapposizioni e in conseguenti conflitti – frequentemente sanguinosi, con stragi di diritti e popolazioni. Dalle contrapposte visioni alle divisioni armate. In ciò l’originario Tramontante è anche l’originariamente Tragico.
Già la distinzione tra Europa e Stati Uniti d’America è stata un’immane divaricazione di ermeneutica e prassi, interpretativa e operativa attraverso cui l’Occidente frantumava ulteriormente il suo sguardo, la sua storia, la sua filosofia. Poi divenendo la cultura egemone, dominante l’intero pianeta, l’Occidente si fa Impero globale, scismaticamente frantumato e contrapposto al suo interno. Frantumato e divorato dalle sue viscere attraverso un consumo di suolo, fiumi, mari, foreste che fa sparire chilometri quadrati di terra fertile ogni ora, a fine di scempio edilizio.
Ora siamo all’accelerazione dell’occaso, del tramonto della Politiké, ossia dell’intera categoria concettuale, pratica e morale di Politica. L’albeggiante epoca della Téchne, della Tecnica, si presenta già come un arcipelago frastagliato, irto di divisioni, contorsioni, minacce, insidie, contraddizioni di ogni tipo. E tale arcipelago- continente, alla deriva della storia contemporanea, è soprattutto l’Europa, ossia la nascita stessa dell’Occidente. La nascita e lo sviluppo della politica, dell’economia, della democrazia, dei diritti sociali e civili come episteme, scienza sia di governo del presente, sia di prefigurazione del futuro, intesa come controllo, prevenzione, contenimento delle minacce esterne ed interne. Il sogno, la visione dell’unità politica d’Europa si delineano nel 1941 con il Manifesto di Ventotene, scritto da Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, durante il loro confino su quell’isola. Il male della seconda guerra mondiale, delle dittature totalitarie che stavano ingoiando il Continente derivavano dalla sua divisione. Da quella grandiosa visione storica si è passati – a cavallo tra vecchio e nuovo secolo – alla sua concreta attuazione. Su quali basi? Non quelle della grande cornice dei valori politici, sociali, culturali che distinguono fin dalla sua nascita l’Occidente. No, l’Europa pone alla base della sua unione già il suo superamento. Pone, infatti, a suo fondamento l’economia e la tecnica. La presunta oggettività dei conti, contro l’aleatorietà dei racconti. Il logos, la logica tecno-scientifica-finanziaria contro il mytos, la parola della narrazione politica. Ma tale fondamento non è che il sottosuolo autentico del logos Occidentale. La Tecnica come dominio certo sulle minacce nascoste nello sviluppo, nel divenire del mondo reale. Il sottosuolo tecnico emerge sulla superficie valoriale, la inabissa, la oltrepassa dentro sé stesso, e si fa mero dispositivo, macchinario produttivo, in grado di sfornare una immane rete di apparati, impianti, capillari prodotti tecnologici di tutti i giorni, in rapida e inarrestabile evoluzione. Il dispositivo, ildevice, il mero apparato tecnico – senza più valori, visioni, ideali di civiltà – può divenire oggetto di mera conquista da parte di chi sviluppa più forza, più potenza.
Nel 1937 il filosofo Edmund Husserl scrive La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. La riduzione della visione ontologica d’insieme alla frammentazione delle varie scienze fattuali, oggettuali è riassunta da lui in una celebre frase: “Le scienze di meri fatti creano meri uomini di fatto”. Ecco, potremmo parafrasare questa espressione husserliana, dicendo che l’Europa si sta riducendo a un mero fatto, a un dato tecnico-oggettivo, sebbene delle dimensioni di un continente. E come tale – come mero oggetto – diventa acquistabile, conquistabile, afferrabile, sottomettibile, manipolabile. L’Europa – di fatto –, ponendo alla sua superficie il proprio mero sottosuolo tecnico si è fatta ente di conquista. Avvertendone la frantumazione non solo geo-politica, ma anche ontologica interna, tutte le altre forme di potenza – non solo ideologicamente, politicamente strutturate – tentano di soggiogarla a sé. Non solo dagli Usa, alla Russia, alla Cina, all’Islam, ma anche dalla enorme pressione dei paesi più poveri del pianeta, che assume la forma inarrestabilmente sciamante delle attuali migrazioni di massa. Al mero fatto, dato, oggetto, strumento è indifferente etnia, razza, religione, colore ideologico e della pelle di chi lo detiene. Lo detiene chi ha più forza, potenza per appropriarsene.
Si potrebbe pensare che gli Usa – come massima espressione dello sviluppo tecno-scientifico globalizzato – rappresentino la vera faccia attuale dell’Occidente. Ma proprio l’America di Trump sta facendo crollare tutti i più classici capisaldi ideologici del liberismo e della weberiana “etica protestante e lo spirito del capitalismo”, restaurando dazi e protezionismo commerciale, proprio al fine di colpire al cuore l’Europa e il suo cuore industriale tedesco. All’opposto, la Cina – sotto un rigido dirigismo statale – sta sviluppando una delle più potenti economie libero-mercatistiche della storia mondiale.
Per questo c’è poco da illudersi su una soluzione razionale, non disperatamente conflittuale degli più aspetti più critici e minacciosi del presente e prossimo futuro. A meno che – proprio dal sottosuolo del pensiero tecno-scientifico europeo – non si ritorni alla necessità di una visione d’insieme che indichi innanzitutto minaccia alla sopravvivenza del pianeta come tramonto dell’intera umanità.
di Riccardo Tavani