Psicopolitica

Byung-Chul Han nasce nel 1959 a Seul, capitale della Corea del Sud, dove studia metallurgia, ma poco più che ventenne si trasferisce a Berlino. Qui passa a un campo di studi completamente opposto: filosofia, letteratura, teologia. Nel 2000 già insegna filosofia all’Università di Basilea e dal 2010 in quella delle Belle Arti di Berlino. È uno dei maggiori studiosi dei fenomeni culturali e digitali globali contemporanei. Conia e mette a fuoco concetti come società della stanchezza, società della trasparenza, shanzai, ossia l’arte della decostruzione dell’originale e della massificazione di prodotti fake in ogni campo del neo capitalismo cinese. Tra i suoi testi degli ultimi anni tradotti in italiano: Eros in agonia, Razionalità Digitale. La fine dell’agire comunicativo, Nello sciame. Visioni del digitale, L’espulsione dell’Altro.

QuestoPsicopolitica, nella limpida traduzione di Federica Buongiorno, edito nel 2016 da Nottetempo, reca il sottotitolo Il neoliberalismo e le nuove tecniche del potere.Lo abbiamo citato alla fine della recensione del libro di Walter Benjamin Capitalismo come religione, nella riedizione del Melangolo. Citato come una possibile attualizzazione di quel discorso benjaminiano: il capitalismo occidentale del secolo scorso e il neoliberalismo imperante ormai sull’intero pianeta nel secolo presente. Il riferimento a Benjamin – oltre far parte del percorso formativo di Han – appare già nelle prime pagine di Psicopolitica. È richiamato il binomio debito/colpa (Schulden/Schuld) quale morsa dalla quale è impossibile liberarsi. Benjamin accenna nel suo testo a una politica mondiale definita vera, quale unica possibilità di fuoriuscire dalla sfera di vigenza della religione capitalistica. Han riprende questo concetto all’inizio del suo libro, parlando della possibilità di una autentica, completa politicizzazione, solo se la società fosse capace di emanciparsi “dall’ordine trascendente, ovvero dalle premesse fondate sulla religione”. Già Nietzsche sul finire dell’800 – con la sua famosa espressione “Dio è morto” – aveva constatato e insieme decretato la fine di ogni valore sia religioso, sia ideale di tipo trascendentale. Per Han l’ulteriore sviluppo della società contemporanea consentirebbe una totale liberazione dalla trascendentalità ideologica e religiosa, se essa non fosse stata rinnovata ed eretta dal capitalismo a nuovo padrone. Trascendere significa andare, essere oltre. Oltre l’umano. Una realtà che ci condiziona dall’alto, da un oltre, il cui principio e la cui finalità non ci è dato scorgere. Alla sopravvivenza dell’artefatta trascendenza capitalistica, Han contrappone il discorso immanente della società, ossia la possibilità di ridiscutere liberamente le norme dell’agire umano, non più condizionate religiosamente. Immanenza, all’opposto di trascendenza, deriva invece da in-manere, stare, giacere dentro l’essere, le cose, la vita. L’opposizione trascendenza/immanenza è ben rappresentata dal grande affresco di Raffaello Sanzio La scuola di Atene(~1510), nella Sala della Segnatura ai Musei Vaticani. In esso, in primo piano, sono rappresentati Platone e Aristotele, che avanzano l’uno accanto all’altro. Il primo ha il dito indice rivolto verso l’alto, il secondo il palmo della mano aperto verso basso davanti a sé.

L’attualizzazione – dal capitalismo novecentesco al neoliberalismo contemporaneo – che Han compie è il passaggio da una soggettivazione,ossia sottomissione costrittiva, disciplinare, fisica esterna, a una volontaria, spontanea interiore. Dalla dimensione corporea della disciplina e del controllo imposta dall’esterno, a quella mentale, psichica, emozionale, auto-imposta dall’interno del soggetto. Da assoggettamento disciplinare di tipo ortopedico– così come analizzato da Michel Foucault alla metà del ‘900 – il potere si fa estetico, narcisistico nell’era del neoliberalismo capitalista. Dall’epoca della statistica per controllare meglio i flussi sociali si passa al Dataismo, ossia all’immane combinazione di Algoritmo e Big Data.A riempire spontaneamente e permanentemente di dati i forzieri elettronici di controllo digitale siamo noi stessi. Immettiamo ogni giorno, ogni ora, ogni istante non solo i vecchi dati anagrafici, ma soprattutto quelli psicofisici, erotici, onirici, emozionali, umorali, pulsionali, attinenti a gusti culturali, artistici, estetici, consumistici. Questi psico-profili – costantemente da noi aggiornati in tempo reale – non solo vengono rivenduti a società di analisi, pubblicità e demoscopia, ma permettono anche di orientare o addirittura fabbricare ad hoc, determinare capillarmente la sensibilità epidermica dell’intero pianeta. Al servizio dell’estrazione di profitto economico capitalistico viene messo il nostro stesso inconscio digitale. I programmi d’investimento, la creazione di nuovi prodotti, mode, tendenze sono sempre più basati proprio su questo psico-programma dell’inconscio, Il protocollo delle nostre intere vite bio-psichiche, estratto dal sottosuolo dei Big Data che con slancio febbrile noi offriamo gratuitamente minuto per minuto e che l’algoritmo poi esplora, sintetizzandolo con ineffabile precisione infinitesimale. L’algoritmo ci conosce orami meglio di noi stessi e del nostro terapeuta.

Questa nuova forma di soggettivazione degli individui e delle masse mondiali è resa possibile grazie a un processo di progressiva ludicizzazione, ossia di mutazione del lavoro a dinamica di gioco. Il gioco è meno ripetitivo, grigio, alienante, e il premio sono il numero di like, follower, citazioni, condivisioni, visualizzazioni in rete. Dal Sorvegliare e Punire, al Digitare e Premiare. L’eliminazione di ogni differenza, la loro riduzione a positività omogeneizzata produttiva, l’estromissione delle alterità, anzi del concetto stesso di Altro, come negatività dell’inferno dell’Uguale, ludicamente standardizzato, auto schedato e assoggettato: questi i tratti salienti di un secondo Illuminismo, il quale si rovescia oggi in un’inedita barbarie dei dati.

Similmente a Benjamin nel suo Capitalismo come religione, così Han in Psicopolitica, intravede un’unica direzione possibile: quella della totale fuoriuscita dalla rete di auto-assoggettamento interiore e di coercizione alla comunicazione compulsiva. Il filosofo coreano delinea la figura su cui s’impernierà questa fuga per libertà. Fa direttamente riferimento al filosofo dell’immanenza per eccellenza, il francese Gilles Deleuze. In un corso su Spinoza, Deleuze afferma che la funzione della vera filosofia è – fare l’idiota. Questo hanno fatto da Socrate, che sa soltanto di non sapere, a Cartesio che demolisce tutto il precedente edificio sapienziale, attraverso quel dubbio iperbolico, che scava giù nel sottosuolo fino al Cogito ergo sum. A questo tipo di idiot savant, idiota sapiente del passato, Deleuze ne fa seguire uno del tutto nuovo: “Il vecchio idiota voleva il vero, ma il nuovo vuole fare dell’assurdo la massima potenza del pensiero”. Egli fa tabula rasa del conformismo comunicativo, della convenzione digitale, dell’auto-obbligo a essere puramente informati e connessi. Come uno stilita seduto sulla sua colonna, raggiunge un accordo superiore, una verticalità di liberi spazi del silenzio, della quiete e della solitudine. Condensa attorno a sé un vuoto che si apre completamente all’Altro, apparendo come matrice della de-soggettivazione e della de-psicologizzazione. Nelle parole di Botho Strauus, citate da Byung-Chul Han quale conclusione del suo libro, l’idiota non è un soggetto: “Piuttosto, l’esistenza di un fiore: semplice apertura alla luce”.

Per quello che ci concerne la questione del capitalismo e della sua espressione neoliberista non può essere, però, totalmente inquadrata e risolta dentro l’opposizione trascendenza/immanenza.  C’è una radice di violenza contro l’essere, in ogni sua manifestazione, all’origine dell’Occidente che ci rifiutiamo ancora di prendere davvero in considerazione e mettere in discussione.

di Riccardo Tavani

Print Friendly, PDF & Email