La fondamentale valutazione delle fonti di energia alternative

Il 2018 ci ha donato l’ennesimo record. Purtroppo, non di tipo sportivo: un record, anzi, di cui avremmo fatto volentieri a meno. Abbiamo, infatti, avuto la temperatura media più alta di sempre in Europa, con 1,86 gradi in più della media storica e 0,77 gradi in più rispetto alla media del ventesimo secolo (dati del National Climatic Data Centre americano).
Possiamo poi dire (orgogliosamente, visto che si tratta di un altro record?) che in Italia l’aumento è stato maggiore che negli altri Paesi europei: siamo, ahimè, primi in questa avvincente corsa verso le temperature più alte.
Continua a crescere, anno dopo anno, anche la quantità di CO2 emessa, per un totale che supera i 40 miliardi di tonnellate (sempre nel 2018), sommando gli effetti della deforestazione e degli incendi a quelli del consumo di combustibili fossili: un altro bel record di cui avremmo volentieri fatto a meno. Con buona pace degli accordi di Kioto e di Parigi, e della più recente conferenza sul clima di Katowice.
Forse, dovremmo porvi riparo, ma non è facile in un mondo (e in una cultura) in cui l’economia è il valore dominante: più del buon senso e (sembra incredibile) più dell’istinto di sopravvivenza.
Forse, è per questo che l’atteggiamento del governo a proposito delle ricerche di idrocarburi nei nostri mari mi è sembrato davvero preoccupante.
C’è, infatti, sia un problema di tipo strettamente politico, sia un problema di tipo più ampiamente ambientalistico.
Andiamo per ordine di importanza.
Il fatto più rilevante è che l’episodio mette allo scoperto la mancanza di un programma per l’energia e l’ambiente da parte del governo. Tranne poche eccezioni, la politica si interessa poco – in Italia e nel mondo – del cambiamento climatico e delle emissioni di CO2. Sembra, anzi, che il nostro futuro sia poco importante: non è all’ordine del giorno, anche per chi, a parole, si dichiara sensibile al problema. Che cosa in concreto vuol fare il governo (questo come gli altri) per fermare la china che ci sta portando dritti dritti a una catastrofe? In quali provvedimenti reali si traducono le generiche istanze di “difesa dell’ambiente” o del territorio che tutti i nostri partiti mettono nei loro programmi elettorali?
Non è, questa, una domanda retorica. Perché non è affatto impossibile invertire la rotta e cominciare a ridurre le emissioni. Alcune tecnologie esistono già e sono ben collaudate, altre possono essere ricercate, se si investe qualcosa nella ricerca e se, come oggi è di moda sottoscrivere, si crede nella scienza.
Carlo Rubbia, ha messo a punto da molti anni un metodo antico e nuovo per produrre energia elettrica con il sole: usando (come Archimede) gli specchi parabolici per surriscaldare un liquido che, a sua volta, aziona una centrale termo-elettrica senza bruciare idrocarburi. È senatore a vita della Repubblica ed è un vanto italico perché insignito del premio Nobel, ma questi progetti si realizzano in Spagna e in Egitto: in Italia, per ora, no.
In Svezia sono partiti i lavori per realizzare un’acciaieria alimentata a idrogeno, ad emissione zero. Questo perché le acciaierie sono industrie ad alta emissione di CO2. Come l’ILVA.
Al momento, si tratta di tecnologie relativamente più costose del fotovoltaico o del carbone, ma si sa che i costi scemano man mano che le tecnologie si diffondono. E poi, i soldi non dovrebbero servire al nostro benessere, anziché essere i nostri padroni? D’altronde, sulla bolletta energetica, come sulla benzina, pesano più le accise che la materia prima.
L’anno scorso è stato presentato un grosso catamarano (l’Energy Observer) che viaggia a energia solare e idrogeno, e attualmente sta compiendo il giro del mondo. Né è l’unico caso di nave a emissioni zero; vi sono altri progetti, già approvati dalle autorità competenti e in via di realizzazione: la SF-Breeze, che svolgerà attività di traghetto nella baia di San Francisco, e Zero-V, la prima nave oceanografica non inquinante.
Anche sul motore a scoppio si potrebbe lavorare. Nel 1995, Beppe Grillo ci fece vedere un’automobile con il motore ad acqua. Per convincerci, si fece persino un aerosol dal tubo di scappamento. Oggi che il movimento da lui fondato è al governo, ci si aspetterebbe una qualche azione a favore di un mezzo così favoloso. Sempre lui, nel 2005, sosteneva (sul suo blog e in un’intervista a Repubblica) che in Fiat già “avevano prototipi fantastici, mai visti, dalla bifuel all’auto idrogeno”. Ma anche un certo Stanley Mayer negli USA e Lorenzo Errico in Italia, avrebbero inventato un sistema per far andare il motore a scoppio, usando l’acqua come carburante. In realtà, molti sostengono che il motore ad acqua sia una bufala, frutto di quella “pseudoscienza” contro la quale oggi Grillo vuole impegnarsi. Ma, per fortuna, non tutto è pseudoscienza. Ad esempio, l’acqua può ridurre i consumi e l’inquinamento (CO2, particolato, gas tossici) dei motori a scoppio, se miscelata al carburante o all’aria che va nei cilindri. Lo ha fatto la Ferrari negli anni 80 sulle sue vetture di formula 1. Negli anni 90 lo ha fatto la Ford sulla Escort Cosworth 4WD; più recentemente, la BMW sulla “safety car” del moto GP. Lo stesso sistema era stato usato durante la seconda guerra mondiale su alcuni motori per aerei (BMW 801, Daimler-Benz 605, Pratt&Whitney R2800). E da sempre si usa miscelare l’acqua nei motori dei jet di linea in fase di decollo.
Voglio dire che sono molte le possibili alternative al carburante fossile, con cui iniziare a ridurre l’inquinamento e l’effetto serra; ma seve disperatamente un progetto, degli obiettivi concreti e verificabili, un’azione di governo consapevole e programmata. Se no, non ha senso concedere o negare la ricerca di idrocarburi nei nostri mari. Oggi come oggi, l’unica alternativa è prendere altrove gas e petrolio: essere, cioè, più dipendenti e più poveri. L’obiettivo dovrebbe essere ridurre e, in prospettiva, fare a meno del fossile, non comprarlo all’estero. Ma questo sarà il risultato, in mancanza di una politica energetica sensata e articolata. Saremo un po’ più poveri, ma continuando a rovinare l’ambiente.
C’è poi un aspetto più strettamente politico.
Il 7 dicembre, il BOLLETTINO UFFICIALE DEGLI IDROCARBURI E DELLE GEORISORSE del MISE ha pubblicato l’autorizzazione ad effettuare le attività di ricerca: Di Maio era ministro da 6 mesi. Non era un atto dovuto, niente vietava un approfondimento, una moratoria o l’annullamento di quanto fatto dal governo precedente, ammesso e non concesso che fosse vincolante. Ma, a dire il vero, non credo che il ministro competente fosse in mala fede. Ho anzi il sospetto che non abbia capito che cosa stesse succedendo nel suo ministero. Per questo, questo atto amministrativo mi sembra forse politicamente più grave: un ministro deve sapere che cosa succede nel suo dicastero, deve occuparsi a tempo pieno dei problemi che gli competono, non nei ritagli di tempo libero dalla campagna elettorale. E, nel caso di un ministro dell’industria e delle attività produttive, deve avere una politica energetica. Deve saper dire di no, perché ha un’alternativa.

di Cesare Pirozzi

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