Chi risponde al contrappello?

Siamo nella stagione degli appelliprêt-à-porter. Il primo è stato quello del filosofo Massimo Cacciari, di cui abbiamo qui scritto, ma la cui eco si è presto dispersa nel magma acustico delle galassie social-mediatiche. In questi giorni è invece ancora a tonalità piena quello lanciato dall’economista prestato alla politica Carlo Calenda. Anche perché i giornali, web e TV gli stanno dando molto più risalto, investendo direttamente il PD e tutto il frastagliato arcipelago di centro-sinistra alla vigilia delle elezioni europee.

Un appello, un grido. Non a caso in spagnolo si usa proprio il termine grito, quando si vuole sottolineare l’urgente drammaticità della chiamata pubblica, patriottica. Un richiamo contro la deriva populista, neo-nazionalista, sovranista, razzista, antidemocratica, contro-istituzionale. Una deriva acutamente in atto in Italia e in quella vecchia Mitteleuropa, che va ora sotto il nome di Visegrad, Polonia, Rep. Ceca, Ungheria, Slovacchia.  Alla quale – anche se non fa parte di tale gruppo – occorre aggiungere l’Austria. Senza contare la piena d’intolleranza che sale dai tombini delle maggiori capitali continentali e mondiali. Gli appelli di Cacciari e Calenda, pur nella loro distinzione, hanno questo tratto in comune. La prospettazione realistica di questo spettro non più solo incombente ma già in atto.

Il problema degli appelli è però sempre stato e sarà quello di chi risponde a essi. Problema riferito non solo al contenuto dell’appello, ma anche alla credibilità politica di chi lo lancia. Credibilità non tanto personale, quanto soprattutto di concreta realizzabilità del progetto che vi è sotteso. Altrimenti tutto si riduce soltanto a un fare l’appello, a un pasar la lista, in spagnolo. Fare l’appello in classe, nella camerata militare. Quello che si chiama il contrappello. Parafrasando il titolo del romanzo di Gabriel Garcia Marquez, Nessuno scrive al colonnello(1961), si potrebbe dire Colonnello: nessuno risponde più al contrappello.

Certo, sia l’appello del filoso-politico, sia quello dell’economista-politico hanno avuto delle importanti adesioni. Soprattutto da esponenti del Pd (meno l’area di Renzi), parlamentari, intellettuali, artisti, pensatori. A quello di Calenda ha subito aderito, ad esempio, uno dei massimi filosofi italiani contemporanei, Emanuele Severino. Noi, però, siamo costretti a considerare quel ventre molle, quell’intestino crasso nazionale fatto da milioni di persone in preda a spasmi, diarree, vomito, intolleranze metaboliche, rigurgiti acidi, reflussi gastroesofagei e altre similari patologie socio-economiche. Ossia tutto ciò che nella crisi ha spinto le persone a trasferire i cessi di casa direttamente sulle strade, nel web e nelle bossiane gabine, o urne elettorali.

Lo scrivemmo nell’articolo Il filosofo e il canaro, nel numero 15/2018 dello scorso agosto. El grito, l’appello va portato non solo come comunicazione, ma fisicamente, organizzativamente in mezzo a questo immane purgatorio socio-sanitario, devastato nei salari, nei diritti, nelle viscere, nel cervello. El grito va strutturato in organismi anti-sovranisti, antirazzisti, come fossero ospedali, tende chirurgiche da campo, emergency,medici senza frontiere, senza quartiere nelle periferie umane e urbane italiane.

Al centro dell’appello va infatti messo il colerico divario tra quell’1% di ricchi che in Italia possiede una ricchezza che supera di 240 volte quella detenuta dal 20% più povero. Nel decennio 2006-2016 la quota di reddito relativa al 10% meno abbiente della popolazione è scesa di un altro 28%. A tale data, sui 28 paesi Ue, Italia è collocata al 26° posto per la peggiore disuguaglianza di reddito disponibile. Proporzioni simili, se non peggiori, si registrano a livello planetario. L’1% più ricco fa sparire nelle proprie tasche e forzieri l’82% dell’incremento di ricchezza netta. Nemmeno un cent di dollaro bucato in aria dai revolver di Clint Eastwood, finisce nelle sudice saccocce dei restanti 3,7 miliardi di persone. Si potrebbe continuare, ma è meglio sfumare qui per chi soffre di vertigini.

Ora Carlo Calenda scrive nel suo manifesto: “Il nostro attivo manifatturiero è oggi doppio rispetto a quello che avevamo prima dell’euro e la nostra manifattura, seconda solo a quella tedesca”. Sì, ma questo doppio quale gargarozzo se lo ingoia? Se l’incremento di malloppo continua a essere oscenamente a esclusivo vantaggio dei pescecani, non c’è alcuna possibilità che qualcuno risponda al contrappello per quanto bello del colonello. E purtroppo quelli come Calenda sono visti proprio come ufficiali a cavallo, in divisa e in servizio permanente dei grandi divoratori di profitto. Visione aberrata? Se sì, allora l’economista-politico deve porre al centro del suo programma-grido questa non più tollerabile oscenità organico-sociale. E metterla al centro non solo nel testo letterario dell’appello, ma soprattutto nel vero contesto urbanistico-addominale di città, province e campagne italiane.

Scrive ancora Calenda: “In Europa si concentra la metà della spesa sociale globale a fronte del 6,5% della popolazione mondiale”. Dobbiamo però vedere come essa si distribuisce tra i vari strati sociali. Non solo la disoccupazione giovanile si aggira attorno al 33%, ma gli occupati, sottoccupati, super sfruttati, sono stati denudati di ogni seria garanzia salariale, normativa, sanitaria, pensionistica. Gli incidenti mortali sul lavoro sono aumentati del 10%. Il Pil pro capite nominale in Italia è nel 2018 di 30.260 $, su circa 60 milioni e mezzo di abitanti. È al 27° posto nel mondo, dopo tutti gli stati europei, prima solo di Spagna, Grecia, Portogallo e i paesi di Visegrad. In Germania questo valore sfiora i 42.000 $, con 81 milioni di abitanti.

I raffronti tra reddito pro capite, numero di abitanti e densità abitativa andrebbe fatta anche in relazione alla questione dell’immigrazione. A gennaio 2019 i rifugiati in Svezia sfiorano un totale di 241 mila persone. In tale paese, però, il Pil pro capite nominale è di circa 55.000 $ e la densità abitativa di 23,1 abitanti/Kmq, su un totale di 10 milioni di abitanti. E per rifugiati si intende solo quelli regolarmente ammessi, perché i clandestini richiedenti e non aventi diritto all’asilo sono bloccati in ingresso o espulsi. In Italia la densità e di 200,23 ab/Kmq. e la cifra dei migranti non regolarizzati supera abbondantemente quella di circa 129.000 rifugiati ammessi, che è comunque il 18% del totale europeo.

Il manifesto di Calenda denuncia certo le enormi, decisive criticità europee, inclusa quella relativa all’immigrazione. Se però l’Europa fallisce – come sta rovinosamente fallendo – proprio sulla maggiore questione epocale, ossia sul global exodus, non solo africano, quale orizzonte di civiltà può ancora pretendere di contrappore alla letale minaccia populista-sovranista?

L’urlo “Europa o Barbarie”, per quanto giusto, rischia però di rimanere strozzato in gola, perché sta rapidamente venendo meno proprio il primo termine della cruciale opposizione. Ed è proprio tale evanescenza il propellente più prezioso e gratuitamente elargito agli euro-brutals. Il recente accordo di Aquisgrana tra Merkel e Macron ribadisce sì un asse continentale centrale, ma l’Europa è ormai governata più da una geometria del caos che da una euclidea.

Si può dunque anche rispondere al contrappello del colonnello nelle urne di maggio, ma certo nessun miraggio potrà più surrogare agli occhi dei popoli l’incapacità, la mancanza di coraggio nel guardare direttamente in faccia l’epoca.

 

di Riccardo Tavani

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