Giovanna Maggiani Chelli. Quando il coraggio di una madre non muore mai
E’ morta nel senso che il suo corpo non respira più, dopo mille battaglie, sofferenze, lotte, sacrifici, sconfitte sarebbe difficile ora dire cosa l’abbia realmente uccisa. Una donna coraggiosa, mai vinta, forte, che ha avuto una grande rivalsa nei confronti del Capo di Cosa Nostra. Eppure lei è (perché certe persone non muoiono mai), così esile, minuta da non immaginarsi quella forza sovrumana nel pretendere giustizia e verità sui mandanti esterni delle stragi del 93. E oggi, si proprio da oggi, sopravviverà alla miseria e all’aridità umana del nostro tempo.
Ma chi di noi realmente conosce o ricorda questo nome?
Chi davvero conosce la donna di cui parliamo?
Era il 2011 quando la Signora Chelli affermava senza paura, reticenze e mezzi termini le testuali parole: “O il Parlamento dà più garanzie ai cosiddetti pentiti o, in alternativa, parli lo Stato. Facciamola finita di far friggere sulla graticola le vittime delle stragi del 1993. Sono gli uomini dello Stato a conoscenza dei fatti e che si trincerano dietro la ragion di Stato a dover dire la verità sulle stragi del 1993!”.
Parole difficili per allora come per i tempi che stiamo vivendo. Parole che sono una polveriera pronta ad esplodere in una realtà, quella mafiosa, che porta con se l’odore stantio della strategia a tavolino e della morte. Boom!! Esplosioni come fuochi d’artificio a far saltare in aria valori, ideali mai esistiti per certe persone nate già morte dentro, con il “fetore” di un respiro che non inspira aria per vivere ma espira “olezzo” di sangue e “zucchero filato di polvere da sparo”.
Perché molti di quei sepolcri imbiancati a cui si rivolgeva Giovanna erano tra coloro che sfilavano nelle commemorazioni ufficiali. E lei lo sapeva. Ma non per questo aveva rinunciato a esigere quella verità negata da gran parte del nostro Stato. Sapeva che lo doveva fare. Per sua figlia Francesca, in primis. Che era rimasta gravemente ferita nella strage di via dei Georgofili dopo aver visto morire bruciato il suo fidanzato Dario Capolicchio, mentre l’intera famiglia Nencioni veniva uccisa dai cumuli di macerie della Torre dei Pulci. Da quel maledetto 27 maggio ‘93 per Francesca Chelliera iniziato un calvario fatto di ospedali e centri specializzati.
Sua madre non la lasciava sola un attimo eppure negli anni a venire non perse una sola udienza del processo sull’eccidio di Firenze. Con la sua associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili chiedeva solo giustizia. Voleva i nomi degli uomini di Stato che nel biennio 92/’93 avevano armato la mano di Cosa Nostra.
Nel frattempo, tra inaudite sofferenze e la determinazione della verità a tutti i costi, sua figlia si laureava in Architettura all’Università di Firenze con la votazione di 110 e lode. E fu proprio a seguito di quel brillante risultato che Giovanna prese carta e penna per scrivere una lettera aperta a Totò Riina.
Sono parole che lasciano brividi sulla pelle e mettono in luce la tempra ed il coraggio di questa donna minuta ed esemplare.
Queste le sue parole: “Egregio Signor Riina, il suo tritolo, il vostro tritolo, e di quanti con Voi lo hanno fortemente voluto per salvarsi dalla galera, ha spezzato mia figlia, ma non l’ha piegata. Pur fra mille difficoltà, con uno Stato spesso disattento, mia figlia ce l’ha fatta a raggiungere quell’obiettivo che si era prefissata. Posso oggi ben dirlo: quella mattina del 27 maggio 1993, mia figlia doveva affrontare un importante esame di architettura. Il sistema marcio, colluso con ‘Cosa Nostra’, colluso con lei, ha cercato di fermarla, ma non ce l’avete fatta. Una rondine non fa primavera, non ci illudiamo, non è una laurea in architettura che restituirà la vita rubata alla mia grandissima figlia. Ma lo sforzo compiuto per ottenere questa laurea in architettura, per non darla vinta a lei e ai suoi arroganti mafiosetti, per non darla vinta a quei politici che hanno fatto e fanno affari con lei comprandosi barche da mille metri e ville faraoniche in mezzo al verde, a quei banchieri che i soldi li hanno messi sul tavolo di trafficanti di armi che hanno le case piene di quadri preziosi, e ancora per non darla vinta a quei capi militari che giocano a chi compra il diamante più grosso alla propria moglie e a quegli uomini di Chiesa che si sono venduti per avere più oro e infine a quegli uomini delle Istituzioni che si sono venduti anche solo per risultare più importanti, ebbene quello sforzo compiuto è riuscito.Questa laurea di mia figliaè la rivincita su quei 300 chili di tritolo usato sulla pelle di innocenti per nascondere ancora una volta le miserie di chi ha dato alla mafia la possibilità di andare in Parlamento”.
La rivincita di Francesca Chelli è stata il primo passo del riscatto che questo Paese deve ancora pagare a sua madre e a tutti i familiari delle vittime di uno Stato-Mafia. La sentenza di primo grado al processo sulla Trattativa – che ha sancito un dato oggettivo: senza quel patto non ci sarebbero state le stragi del ‘93 – ha rappresentato un primo tassello per renderle giustizia.
Giovanna ci ha lasciato, sconfitta da quello che spesso viene definito “un male incurabile”. Non a caso, un “male incurabile” come di “incurabile” c’è soprattutto la collusione di pezzi delle nostre istituzioni che hanno trattato e trattano con Cosa Nostra sul sangue di migliaia di vittime innocenti; così come l’ignavia di tanti cittadini che dimenticano in fretta e si rendono complici delle nefandezze di tanti esponenti politici collusi. Se è vero che per i credenti la verità che è stata negata in questi anni a Giovanna, e a tutti coloro che sono morti prima di avere una giustizia terrena, le verrà ora rivelata; per tutti gli altri c’è ancora una guerra da combattere su questa terra. Il coraggio indomito di Giovanna Chelli è lo stesso di tante madri che non si arrendono mai davanti alle ingiustizie. Ed è quello che rimarrà assieme alla sua battaglia. Che accomuna tutti coloro che hanno a cuore il futuro di questo Paese, che devono armarsi di coraggio e valori, quelli veri, che devono fortemente volere un mondo migliore per i loro figli e comprendere che ogni cambiamento parte sempre dal singolo.
Ognuno di noi può fare. Ognuno di noi ha il dovere di fare, agire, ribellarsi, parlare. Parlare. Perché sono sempre le parole non dette, taciute a noi stessi, quel voltare la testa da un’altra parte, quel fingere di non aver visto, di non esserci stati che è anch’esso collusione.
Si è mafiosi allo stesso modo.
Si è mafiosi in tanti modi.
L’omertà e il silenzio sono la miccia della mafia.
E allora cerchiamo di comprendere tutti come l’assenza di Giovanna non può esimerci dal continuare a pretendere la verità.
Tutta la verità. Non solo per lei ma soprattutto per noi che abbiamo il compito di tramandare alle future generazioni ciò che è accaduto, per non dimenticare, per comprendere e fare scelte dettate da un sapere che viene sempre più occultato. Ecco… c’è bisogno anche di questo. Di parlare in tutti i sensi, di raccontare, di far vivere nel ricordo di alcuni e nella non esperienza di altri, anche il male che si è perpetrato nel nostro Paese.
Parlate perché la storia va raccontata e resa nuovamente “viva” nel ricordo.
E’ anche questo un modo per non lasciare morire, per la seconda volta nel buio, le vittime delle stragi. Questa si che sarebbe la vera vittoria del “male”.
di Stefania Lastoria