Il Sindaco ferroviere per un’ora
Ennio Gnudi, classe 1893 nacque a San Giorgio di Piano, San Zôrz in dialetto bolognese, un comune poco distante dalla città di Bologna in cui si trasferisce con la famiglia nel 1896 e qui nel 1919 trova lavoro come ferroviere. Entra subito nel sindacato dei ferrovieri italiani e in breve tempo fa parte del comitato centrale. Gnudi rappresenta la classe operaia, dapprima nel Partito Socialista e poi, nel 1920 nella frazione comunista e nello stesso anno, il costituito consiglio comunale di Bologna a seguito delle elezioni svolte lo proclamò Sindaco. Aveva 27 anni, un Sindaco giovanissimo ma lui si definiva sempre “un umile e semplice operaio”. Da Sindaco prese l’impegno di garantire il prezzo equo del pane e diceva che “non sono i lavoratori che debbono pagare ma sono coloro che dalla guerra, dalle speculazioni hanno guadagnato milioni e milioni”.
Non era neanche passata un’ora dall’adunanza del consiglio comunale che si scatenarono scontri in Piazza Maggiore tra squadristi fascisti, Guardie Rosse e componenti della Regia guardia per la pubblica sicurezza, durante i festeggiamenti per l’insediamento della nuova Giunta comunale da lui stesso presieduta Gli scontri, la cui dinamica non è mai stata interamente chiarita, portarono alla morte di dieci sostenitori socialisti e di un consigliere comunale liberale, oltre che al ferimento di altre 58 persone.
Le squadre fasciste erano capitanate da Leandro Arpinati, iscritto al Partito Socialista Italiano dal padre un commerciante di Forlì. Ferroviere anche lui come Gnudi. Fondò nel suo paese natale, Civitella di Romagna, una sezione anarchica in concorrenza con la sezione socialista. Amico di Benito Mussolini che lo introdusse nella gerarchia fascista del Comitato dei Fasci di azione rivoluzionaria. A Bologna Arpinati divenne uno dei capi dello squadrismo e in quegli anni di violenza in città si consumarono numerosi omicidi.
Ennio Gnudi, 27 anni ferroviere sindaco di Bologna per un’ora, tanto fu il tempo necessario al Prefetto, in seguito agli scontri, per nominare un commissario straordinario sciogliendo il Consiglio comunale. Per le istituzioni democratiche cittadine suonò la campana a morto, mentre il fascismo riportò il suo primo trionfo.
Diventato un bersaglio dei fascisti il “Sindaco ferroviere” fu aggredito più volte tanto che lasciò Bologna. Nel 1921 fu eletto deputato ma anche qui era nel mirino delle autorità che lo arrestarono più volte senza mai giungere a processo. Stavolta abbandona l’Italia, considerato oppositore al regime espatriò come tanti altri antifascisti. Svizzera, Belgio, Stati Uniti, Francia, Canada, Argentina e Unione Sovietica, un peregrinare vissuto alla giornata contando solo sull’aiuto dei compagni e di qualche associazione e costretto a continui cambiamenti di identità perché sempre seguito da spie fasciste. Gnudi non si sposò mai e seppur incessantemente in giro per il mondo tenne sempre i contatti epistolari con la sua famiglia lasciata in Italia, corrispondenza puntualmente aperta e letta dai gerarchi fascisti che di conseguenza sottoponevano a vessazioni parenti e amici.
Le lettere di Gnudi sono custodite negli archivi di Roma e Bologna nel leggerle traspare tutta la tristezza della lontananza da casa. Gnudi non rivide mai la mamma. Rientrò in Italia nel novembre del 1945 accolto calorosamente nella città che lo vide sindaco e che ancora aveva vivo il ricordo dei fatti di piazza Maggiore e dei suoi 10 morti. Gnudi morì nel 1949 e Bologna gli tributò esequie solenni.
Gnudi riposa in un sarcofago in travertino opera dello scultore Farpi Vignoli che ritrae il defunto disteso sul sarcofago, mentre nei lati lunghi un corteo di lavoratori (ferroviere, fabbro, mondina..) lo accompagna idealmente nell’aldilà identificabili grazie agli attrezzi che portano alla cintura o nelle tasche dei loro abiti. I loro vestiti non sono ben definiti, ad esclusione di un accessorio indossato dall’unica figura femminile che partecipa al trasporto della salma: sulle spalle presenta un cappello di paglia che la identifica come una mondina. Altri lavoratori sono un contadino (con una falce alla cintura), un’operaio ferroviario (dotato di una lanterna), un fabbro o maniscalco (martello e pinza) ed un operaio (chiave inglese e calibro). A sottolineare gli intenti dell’opera, fortemente voluta dal Sindacato nazionale ferrovieri, è l’epigrafe posta sul lato a sud: A ENNIO GNVDI / I FERROVIERI ITALIANI / CVI FV GVIDA NELLE / LOTTE DEL LAVORO.
di Eligio Scatolini e Giuliana Sforza