Gli Stati Popolari. “Perche possiamo perché dobbiamo”. Il discorso storico di Aboubakar Soumahoro

Il 5 luglio si sono tenuti a Roma nella piazza San Giovanni gli Stati Popolari organizzati da Aboubakar Soumahoro per dare voce alle istanze del mondo reale del paese, la pancia della società che vive resistendo alla marginalità’ sociale, alle discriminazioni e ad una censura costante della politica delle lobby di potere.

Uomini e donne che sopravvivono al mare dell’indifferenza, all’arroganza e alla marea di individualismo che rischia di trascinare anche le generazioni future nell’alienazione. Ben prima della pandemia, ben prima che il potere gettasse la maschera mettendo in evidenza le fragilità del sistema sanitario nazionale, le fondamenta precarie del mondo del lavoro, lo sfruttamento e la mercificazione della salute.

In questo scenario frammentato di istanze e rivendicazioni, su alcune delle quali negli anni si è costruita la propaganda dell’odio, non era semplice riuscire a mettere insieme una proposta generale che avesse cura di tenere tutto insieme e tutti insieme. Il mondo del lavoro, del non lavoro, i migranti, l universo dei diritti civili.

Sul palco di San Giovanni si sono alternati esponenti di tutte le categorie “invisibili” che hanno portato le loro questioni e le loro proposte fra questi i braccianti agricoli, rider, precari, operai della Whirlpool, i lavoratori dell’ArcelorMittal. Si sono unite associazioni e artisti dello spettacolo fra cui Ascanio Celestini.

Gli interventi dalla piazza sono andati nella direzione non solo della denuncia di una condizione sociale ma nella volontà di un agire comune.

Dalla manifestazione è uscito un manifesto politico, i punti chiave riguardano il cambiare la filiera del cibo per combattere il caporalato, rispondere all’emergenza abitativa, combattere per uguaglianza, cultura e lavoro, cambiare le politiche migratorietutelare l’ambiente e i territori.

Questo impegno è la politica alta di cui c’è davvero bisogno, intesa come respiro collettivo, come costruzione di società solidale, evoluta, capace di emanciparsi dal modello liberista che stigmatizza le persone come ingranaggi del sistema.

A chiudere gli interventi il discorso di Aboubakar Soumahoro che conferma la sua capacità di visione rivoluzionaria di società’ che parte dalla centralità dell’essere umano, dalla solidarietà e dall’empatia umana.

Le parole di Aboubakar sono in grado di lasciare un segno nella storia del nostro paese, perché’ partono da lontano, dalle lotte di chi ha versato sudore e sangue per difendere l’antifascismo e la libertà’. Ancora, da chi ha attraversato il deserto, il mare, la guerra, per arrivare nelle nostre terre in cerca di una vita da vivere.

Da quegli uomini e donne che difendono la scelta di essere liberi, di amare chi vogliono, di essere chi vogliono. Da chi si batte per costruire una società’ che abbia un futuro sostenibile.

Ma c’è anche un altro motivo per cui gli stati Generali e il discorso di Aboubakar hanno un respiro storico, comincia ad emergere con forza che in Italia c’è un movimento di persone, che lavorano, ma che sono anche nate o cresciute qui che rivendicano parità’ di diritti, a partire dalla cittadinanza, che chiedono di votare nel paese in cui vivono. Che non vogliono essere discriminate perché’ neri, asiatici, o considerati stranieri da sfruttare. Queste voci si uniscono al movimento mondiale che negli ultimi giorni sta dimostrando che cosi come il razzismo non ha confini né patria, la sua lotta non può che essere universale.

Sotto un cielo assolato e una piazza meticcia, gli Stati Popolari aprono la strada ad un percorso che unisce il mondo del lavoro, dei diritti civili, dei diritti universali, sotto la stessa parola d’ordine che è il diritto alla felicità, che racchiude il diritto al lavoro, ad una vita dignitosa e ad esistere senza essere discriminati perché poveri, neri, disabili, gay, emarginati. Per portarlo avanti, come è stato più’ volte sostenuto durante gli interventi è necessario uscire dagli individualismi e dall’autoreferenzialità, per aprirsi ad un cammino di unità e umanità costruendo un nuovo protagonismo collettivo. 

Tutto questo viene legato insieme dalle parole di Soumahoro che ci costringe a riflettere su una diversa modalità’ di narrazione dei bisogni, che intrecciano le rivendicazioni sociali ad una dimensione personale, intima, ideale. Questo approccio diventa globale, olistico, del tutto, visto come un unicum e non come somma delle parti di cui è composto.

Parlare di amore, spiritualità, felicità supera l’idealismo se come nel caso di Aboubakar alla visione si unisce l’azione.

Se insieme alle istanze pubbliche, alla narrazione, si scende nel ventre dei territori, sporcandosi del fango delle campagne, denunciando con coraggio lo sfruttamento, facendo uscire dall’ ombra il mondo reale. Costruendo una proposta che sia in grado di allargare l’orizzonte.

Ogni cambiamento richiede la coerenza delle azioni, la forza delle idee, e gambe per portarlo avanti “Perché possiamo perché dobbiamo”

di Susi Ciolella

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