Tendi la tua mano al povero
“Tendi la tua mano al povero”. La sapienza antica ha posto queste parole come un codice sacro da seguire nella vita. Esse risuonano oggi con tutta la loro carica di significato per aiutare anche noi a concentrare lo sguardo sull’essenza le e superare le barriere dell’indifferenza. La povertà assume sempre volti diversi, che richiedono attenzione ad ogni condizione particolare: in ognuna di queste possiamo incontrare Gesù, che ha rivelato di essere presente nei suoi fratelli più deboli. Così Papa Francesco nel messaggio per la IV Giornata Mondiale dei Poveri che si svolgerà nella XXIII Domenica del Tempo Ordinario, il 15 novembre 2020.
Il messaggio prende spunto dal Siracide, uno dei libri dell’Antico Testamento. Qui troviamo le parole di un maestro di saggezza vissuto circa duecento anni prima di Cristo. Egli andava in cerca della sapienza che rende gli uomini migliori e capaci di scrutare a fondo le vicende della vita. Fin dalle prime pagine del libro, il Siracide espone i suoi consigli su molte concrete situazioni di vita, la povertà è una di queste. Pagina dopo pagina, scopriamo suggerimenti sul modo di agire per essere vicini ai più deboli, per riconoscere il Dio creatore e amante del creato nel volto del sofferente. La preghiera a Dio, per i credenti, e la solidarietà con i poveri e i sofferenti, sono inseparabili. Per celebrare un culto, dice Papa Francesco, che sia gradito al Signore, è necessario riconoscere che ogni persona, anche quella più indigente e disprezzata, porta impressa in sé l’immagine di Dio. Pertanto, continua il Papa, il tempo da dedicare alla preghiera non può mai diventare un alibi per trascurare il prossimo in difficoltà. È vero il contrario: la benedizione del Signore scende su di noi e la preghiera raggiunge il suo scopo quando sono accompagnate dal servizio ai poveri. Quanto è attuale questo antico insegnamento anche per noi!
La scelta di dedicare attenzione ai poveri, ai loro tanti e diversi bisogni, non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati. Non si può soffocare la forza e la grazia di Dio, sostiene Bergoglio, per la tendenza narcisistica di mettere sempre sé stessi al primo posto.
Tenere lo sguardo rivolto al povero è difficile, ma quanto mai necessario per imprimere alla nostra vita personale e sociale la giusta direzione. Non si tratta di spendere tante parole, dice il Papa, ma piuttosto di impegnare concretamente la vita, mossi dalla carità divina (o solidarietà umana ndr). Sempre, l’incontro con una persona in condizione di povertà ci provoca e ci interroga. Come possiamo contribuire ad eliminare o almeno alleviare la sua emarginazione e la sua sofferenza? Come possiamo aiutarla nella sua povertà spirituale? La comunità cristiana è chiamata a coinvolgersi, insiste il Papa, in questa esperienza di condivisione, nella consapevolezza che non è lecito delegarla ad altri. E per essere di sostegno ai poveri è fondamentale vivere la povertà evangelica in prima persona. Non possiamo sentirci “a posto” quando un membro della famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventa un’ombra. Il grido silenzioso dei tanti poveri, scrive Papa Francesco, deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare voce, per difenderli e solidarizzare con essi davanti a tanta ipocrisia e tante promesse disattese, e per accoglierli alla vita della comunità.
La Chiesa, non ha soluzioni complessive da proporre, ma la sua testimonianza e i suoi gesti di condivisione e accoglienza possono alleviare il dolore e la solitudine. Ricordare a tutti, in ogni luogo e occasione, il grande valore del bene comune è per il popolo cristiano, scrive ancora il Papa, un impegno di vita, che si attua nel tentativo di non dimenticare nessuno di coloro la cui umanità è violata nei bisogni fondamentali.
Tendere la mano fa scoprire, prima di tutto a chi lo fa, che dentro di noi esiste la capacità di compiere gesti che danno senso alla vita. Quante mani tese si vedono ogni giorno! Purtroppo, accade sempre più spesso che la fretta trascina in un vortice di indifferenza, al punto che non riconosciamo più i gesti di bontà dei santi della porta accanto. Eppure la generosità accade, ogni giorno, ma possiamo fare di più, tutti. Il popolo di Dio in prima fila nella difesa del bene comune, nella condivisione e nella accoglienza, per donare umanità e diritti alle persone che ne sono private.
Tendere la mano è un segno: un segno che richiama immediatamente alla prossimità, alla solidarietà e all’amore, dice il Papa. “Tendi la mano al povero” dunque, è un invito alla responsabilità come impegno diretto di chiunque si sente partecipe della stessa sorte. Un incitamento a farsi carico dei pesi più deboli, come ricorda San Paolo: “Mediante l’amore siate al servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il prossimo come te stesso…Portate i pesi gli uni degli altri”.
“Tendi la mano al povero” fa risaltare, per contrasto, l’atteggiamento di quanti tengono le mani in tasca, scrive Papa Francesco, e non si lasciano commuovere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essi complici. L’indifferenza e il cinismo sono il loro cibo quotidiano… Ci sono, infatti, mani tese per sfiorare velocemente la tastiera di un computer e spostare somme di denaro da una parte all’altra del mondo, decretando la ricchezza di ristrette oligarchie e la miseria di moltitudini o il fallimento di intere nazioni. Ci sono mani tese ad accumulare denaro con la vendita di armi che altre mani, anche di bambini, useranno per seminare morte e povertà. Ci sono mani tese che nell’ombra scambiano dosi di morte per arricchirsi e vivere nel lusso e nella sregolatezza effimera. Ci sono mani tese che sottobanco scambiano favori illegali per un guadagno facile e corrotto. E ci sono anche mani tese che nel perbenismo ipocrita stabiliscono leggi che loro stessi non osservano.
“In tutte le tue azioni, ricordati della tua fine”. È l’espressione con cui il Siracide conclude la sua riflessione. Questo ci invita ad una considerazione e cioè, che il fine di ogni nostra azione non può essere che l’amore.
di Eligio Scatolini