Andria – Corato: non era una mattina come le altre quel 12 luglio del 2016, perché due treni correvano uno contro l’altro

Quel 12 luglio 2016 sembrava una mattina come tante altre. Ma non lo era. Sembrava lo stesso treno di sempre. Ma non lo era. Sembrava lo stesso viaggio di sempre. Ma non lo era.

Scorreva il paesaggio dai finestrini del treno, la terra rossa e gli ulivi di sempre. Lo stesso paesaggio scorreva dai finestrini del treno che correva contro.

Nella stazione di Andria aspettavano l’arrivo del treno ET 1642 proveniente da Corato. Andria era la sua stazione di fine corsa. Altri due treni dovevano incrociare in quella stazione, il treno ET 1021 proveniente da Barletta il treno ET 1016 proveniente da Corato.

Andria in quella calda mattina era la sede dove tre treni erano interessati come da routine. Ma non era la solita routine. Quella mattina non era come le altre mattine, c’erano treni in ritardo e il treno ET 1642 invece di arrivare ad Andria alle 10:37 come sempre arrivò alle 10:59 con 22 minuti di ritardo.

Tre treni una stazione e uno di essi in ritardo. Sembrava una mattina come tante altre, ma non lo era.

Intanto le lancette dell’orologio giravano macinando i minuti. Con i ritardi è facile confondere i treni e di certo in quella linea ferroviaria la loro circolazione è affidata al solo telefono. Si chiama Blocco telefonico è un sistema obsoleto basato tra dispacci che avvengono fra capistazione che si chiamano per accertarsi della via libera e poter inoltrare un treno.

Uomini, e un uomo può sbagliare. Quella mattina i ritardi hanno confuso ore, minuti, numeri e treni. Erronee intese tra capistazione hanno permesso di licenziare un treno contro l’altro. Partiva così il treno ET 1016 alla volta di Andria e da Andria partiva alla volta di Corato il treno ET 1021. Due treni ora marciavano uno contro l’altro con i passeggeri e le loro storie quotidiane come tante volte. Scorreva il paesaggio dai finestrini del treno, la terra rossa e gli ulivi di sempre, con il tempo al polso pensando agli impegni quotidiani. Sembrava una mattina come tante altre. Ma non lo era.

Il macchinista del treno ET 1021 marciava tranquillo così come pure quello del treno ET 1016. Sembrava un turno come tanti altri. Ma non lo era.

Alle ore 11:05 al km 51 della ferrovia, tra gli ulivi e la terra rossa, i due treni diventano uno solo. Nello scontro inevitabile il treno ET 1021 penetra nel treno ET 1016 e viceversa. Le lamiere si accartocciano in un rumore assordante e mortale. A bordo dei due treni di colpo è l’inferno, le carrozze diventano trappole fatali e non ci fu salvezza per 23 passeggeri che cessano di vivere. I feriti invece, più o meno gravi, furono cinquantuno.

Errore umano. Le prime notizie a caldo parlano di errore umano.  Verrà accertato successivamente nei processi che di errore umano si trattava, ma che poteva essere evitato se su quella linea fossero stati investiti i fondi per l’attrezzaggio tecnologico di sicurezza. Il sistema di  blocco telefonico andava superato con l’utilizzo di adeguata tecnologia. Se fosse stato fatto non sarebbero morte 23 persone.

Ma il dito la Commissione parlamentare d’inchiesta lo punta anche contro i deficit dell’organizzazione della sicurezza. L’errore umano, scrive la Commissione,  costituisce solo l’ultimo anello di una serie di criticità organizzative che nel complesso favoriscono l’insorgere di deficit nel sistema organizzativo di un’attività, evidenziando che quanto accaduto costituisce il vertice di una piramide la cui base è rappresentata dai cosi detti quasi incidenti (o pericolati) cioè da una serie di episodi indicativi di un sistema di gestione e organizzazione della sicurezza che non ha impedito e non ha curato gli indici d’allarme.

La Commissione parlamentare d’inchiesta infatti ha analizzato gli episodi a rischio di collisione tra treni occorsi lungo la rete di Ferrotramviaria Spa tra il 2003 e il 2016 che avrebbero dovuto portare la stessa società ad una diversa politica aziendale più attenta alla sicurezza. In pratica i sintomi c’erano ma i rimedi non sono stati presi.

Gli atti valutati della Commissione parlamentare riguardavano i seguenti fatti:

  • rischio di collisione con altri treni in linea per errato instradamento: evento del 9.12.2015; evento del 15.7.2015; evento del 11.4.2015; evento del 9.1.2015; evento del 16.7.2013; evento del 20.2.2013;
  • rischio di collisione con altri treni in entrata / uscita / stazionamento in stazione: evento del 13.3.2014; evento del 27.8.2013; evento del 16.2.2012; evento del 31.3.2010; evento del 29.12.2008; evento del 20.9.2005; evento del 20.12.2004; evento del 31.3.2004;
  • rischio di collisione fra treni a seguito: evento del 21.10.2014 ed evento del 16.9.2005;
  • rischio di collisione con altro treno in linea per partenza irregolare: evento del 24.10.2009; evento del 27.9.2007; evento del 30.6.2003;
  • altri rischi di collisione: evento del 21.11.2003 (mancato avviso di treno fermo in linea).

Tra questi casi spicca il rischio di collisione occorso in data 21.10.2014 lungo la medesima tratta Andria‐Corato, del tutto simile al disastro del 12 luglio 2016.

Ma vi è di più, secondo la Commissione non solo c’è una disattenzione di sistema ma anche cattive prassi visto che nel controllo degli atti vi sono innumerevoli violazioni di norme e regolamenti commesse dal personale di Ferrotramviaria. Cattive prassi che suonando come campanello d’allarme avrebbero dovuto comportare una immediata valutazione del rischio e quindi porre rimedio con procedure apposite. Procedure volte ad alzare l’asticella della sicurezza.

Se questo fosse stato fatto probabilmente lo scontro del 12 luglio 2016 non sarebbe avvenuto.

E di pochi giorni fa la notizia che il processo riguardante questo tragico incidente slitta al 29 aprile, causa Covid. Il giudice ha disposto la sospensione dei termini processuali per evitare la prescrizione.

Accertare la verità per avere giustizia è quello che chiedono i familiari delle vittime, che non paghi solo chi ha commesso l’errore umano ma anche chi doveva vigilare a vario titolo e con responsabilità diverse e non l’ha fatto.

di Eligio Scatolini e Giuliana Sforza