La Bestia: il treno dei migranti che corre verso la frontiera americana

Il treno è sempre, in qualche misura, sogno. Anche quando quel sogno, strada facendo, diventa incubo e il treno si trasforma in una bestia che può fare a pezzi la vita. “La bestia”, mordendo la distanza tra la realtà e la speranza di un futuro migliore, non arresta la sua corsa neanche davanti alla morte.

Lo sanno bene le centinaia di migliaia di centro-americani che ogni giorno tentano di cavalcarla. “La Bestia”, come lo hanno soprannominato i migranti, è un treno-merci mal ridotto che dal sud del Messico arriva fino alla bassa California, fino ai confini di quella frontiera che gli “indocumentados”, gli irregolari, proveranno a varcare.

Provengono dall’Honduras, dal Guatemala, dal Nicaragua dove, proprio in questi giorni, la vice- Presidente americana, Kamala Harris, è in visita.

“Non venite in Usa, al confine sarete rimandati indietro” ha detto la Harris, invitandoli a seguire vie legali di immigrazione e ricordando quanto sia pericoloso il viaggio clandestino verso Nord.

Ma se non cambiano i modelli di sviluppo, se non si pagano i prodotti ad un prezzo equo, se non si trasforma  lo sfruttamento in lavoro, se non si creano strutture per processare la domanda di ingresso negli USA, se non si combatte il narcotraffico, sarà difficile arrestare la fuga. La Bestia continuerà ad avere, sulle sue giunture e sul suo dorso, centinaia di persone al giorno.

Salgono al volo sul treno in corsa. Di notte, appostati lungo i binari. Qualcuno ci ripensa soltanto a vedere quei fari che, come lucciole giganti, arrivano a squarciare il buio.

I più ci provano. Tanti quelli che si spezzano le gambe cadendo senza essere riusciti ad agganciarsi alle scale laterali dei vagoni che trasportano beni destinati agli americani.

I fortunati, quelli che riescono a salire, cercano di raggiungere il tetto o di trovare uno spazio tra i vagoni. Ma è qui che inizia l’incubo. Ci vorranno almeno sei giorni per raggiungere la frontiera. Nel mezzo ore di terrore: il rischio di cadere, le estorsioni sul treno, i trafficanti di esseri umani che vogliono reclutarli, gli stupri, le autorità, il caldo, la fame e la sete che possono uccidere come il più brutale degli uomini.

Per questo un gruppo di donne ha deciso di provare a placare la Bestia. Le chiamano “Las Patronas”.

Sono passati più di venti anni dal giorno in cui le sorelle Vasquez ,tornando a casa con i sacchetti della spesa,  lungo la strada accanto alla ferrovia,  udirono quel grido: “ Madre, dacci il pane”. Per puro istinto lanciarono pane e latte verso il treno.

Giunte a casa raccontarono l’accaduto,  la madre le incoraggiò a farlo di nuovo: considerava  quel gesto come l’adempimento di un dovere cristiano. Da allora molte altre donne si sono unite alla famiglia Vasquez. Nel piccolo villaggio di La Padrona, nello stato di Veracruz, a poca distanza dalla ferrovia, hanno allestito una cucina, un tempio di umanità. 

Nei pentoloni anneriti  preparano riso, fagioli e tortillas. Su un tavolaccio di legno  imbustano  i sacchetti con le razioni di cibo e una bottiglietta d’acqua. Poi aspettano la telefonata: qualcuno le avvisa dell’imminente passaggio della Bestia.

Al fischio prolungato  del  treno corrono fuori e si posizionano lungo i binari, pronte a lanciare i sacchetti; ne preparano uno anche per il macchinista, sperando di convincerlo a rallentare la corsa. I migranti sanno che lì troveranno cibo e acqua e si sistemano alla meglio per prendere il cibo al volo.

Mentre la politica parla di respingimenti e cerca soluzioni, contadine, madri di famiglia, casalinghe si sono fatte trovare pronte a rispondere alle atrocità con l’atto più umano e materno: nutrire. Laddove la droga e gli interessi hanno ridotto questi paesi alla fame e costretto le persone a scappare. 

La speranza è robusta, anche quando resta appesa per giorni ad una scaletta di un treno merci.

 

di Nicoletta Iommi