A dieci anni dalla morte di Amy Winehouse
Nel libro “La mia Amy”, l’amico di una vita Tyler James racconta la Winehouse che ha conosciuto: non una vittima, un demone, una tossica, un’icona sballata ma una donna ossessionata dall’amore. Una donna che sognava la normalità.
“Vado fuori di testa quando, ancora adesso, mi capita di sentire di Amy che si, aveva una grande voce ma che era solo una tossica che si faceva di crack. E mi succede spesso. Il 23 luglio 2021 ricorre il decimo anniversario della sua scomparsa”.
A pronunciare queste parole è in un’intervista telefonica nel caldo di questo luglio, l’autore del nuovo volume “La mia Amy” (edito da Hoepli): Tyler James, ovvero il migliore amico, il coinquilino e l’anima gemella (non in senso romantico, ma spirituale) di Amy; la persona che le è stata vicina praticamente in ogni istante, dagli esordi fino alla morte, il ragazzo che ha scelto di dedicarsi a lei, a costo della propria promettente carriera da cantante.
Amy Winehouse è morta a 27 anni, ha lottato per molto tempo con i demoni delle più classiche dipendenze, della bulimia e di quel too much too soon che da sempre rappresenta un pericolo letale per le giovanissime star.
Passa dunque il messaggio di una Amy caduta sotto il peso dei propri vizi: una ragazza succube di droga e alcool, oltre che di un rigido controllo paterno, finita nel conteggio delle tante vittime degli eccessi. Questo punto di vista, non totalmente fuori mira – chiariamolo – finisce però per pesare più di tutto quanto, talento compreso. Questo forse per un retaggio più o meno inconscio: il famoso senso di colpa del cristianesimo, per cui i comportamenti non allineati e il malessere che si esprime in devianza dalla buona norma saranno sicuramente puniti e porteranno alla rovina. Tutto il resto non conta più, di fronte alle offese alla morale e al perbenismo.
Ma chi era davvero Amy Jade? A questo proposito Tyler ha le idee molto chiare: «Diverse persone hanno provato a raccontarla con libri e documentari», spiega, «ma ognuno ha dato una versione diversa, un punto di vista che differiva in molti aspetti. Io ci sono stato per tutto il tempo, Amy era la mia migliore amica e per me guardarla era come guardarmi in uno specchio… per questo ho deciso di raccontare le cose come stavano, per onorare la sua memoria, ma anche per mostrare davvero tutta la verità su di lei: nel bene e nel male.
L’ho fatto seguendo un consiglio che proprio Amy mi ha dato moltissime volte. Mi diceva sempre che quando avevo un problema o ero tormentato da qualcosa, dovevo scriverlo, metterlo nero su bianco. Ho iniziato a farlo, su pezzetti di carta o salvando delle note nel mio telefono… ho cominciato il giorno stesso della sua morte: erano appunti, pensieri, cose di cui non ho parlato a nessuno per molto tempo e che solo qualche anno fa ho preso a organizzare in forma di libro.
Amy era una ragazza talentuosa, figlia di una farmacista e un taxista appassionato di musica, ma lei non ha mai voluto diventare famosa, a differenza di papà Mitch. Lei desiderava fare la cantante jazz, non la star mondiale, odiava essere famosa. Non accettava la fama, che era come una prigione, avevamo spesso lunghe discussioni notturne su questo argomento. Lei cercava il modo di sottrarsi a tutto quello che la fama comportava, voleva evitarla, desiderava trovare un modo di fuggire, perché nella vita c’è molto di più. Lei era semplicemente innamorata della musica, era una musicista, una vera artista, come ormai se ne vedono poche», dice Tyler.
E continua: «Amy mi ha insegnato una cosa e penso di essere molto fortunato ad averla imparata, lei mi diceva sempre che nella vita conta solo essere felici e l’unica cosa che importa è l’amore. Amy dava all’amore un’importanza che trascendeva tutto, pensate al modo totale e disperato in cui amava Blake (Fielder-Civil, l’ex marito). Quando si ama, nell’idea di Amy, bisogna amare al 100% e non farlo solo quando le cose vanno bene».
Già, Amy cercava l’amore, quello romantico, all’antica se vogliamo, anche se vissuto nel suo modo viscerale. Lei, più di ogni altra cosa voleva una famiglia, essere moglie e avere figli. Tutto ciò che desiderava era la normalità.
A torto la liaison con droghe e alcol, come dicevamo, è divenuta la chiave di lettura a senso unico del personaggio Amy Winehouse, per molti. In effetti le sostanze hanno avuto un peso determinante nella sua vita e carriera, è stata autodistruttiva per un lungo periodo ma chi le era davvero vicino asserisce che alla fine era sulla strada giusta per superare queste dipendenze, che aveva tutte le qualità per farlo: l’intelligenza, la forza, la consapevolezza. E nonostante avesse raggiunto un grande risultato, la gente, sapendo che era stata invischiata con crack ed eroina anni prima, ha sempre pensato che non ne sarebbe mai uscita. Loro, più di lei, non credevano nelle possibilità di questa grande artista.
Quando è morta stava combattendo ancora contro l’alcool, era ad un passo dal farcela. Non aveva perso la voce, non aveva perso il senno e stava anche seguendo un buon regime salutista. Purtroppo quando smetti di bere e ci ricadi, sottoponi il tuo corpo a uno stress incredibilmente pesante, ed è forse ciò che l’ha uccisa, sostiene Tylor James.
«In quei giorni, se qualcuno mi avesse detto che la mia Amy di lì a poco non ci sarebbe più stata, non ci avrei creduto perché lei aveva intrapreso un percorso in cui si poteva vedere un finale completamente diverso. Non c’è nessuno da mettere sul banco degli imputati, incolpo, semmai, la dipendenza e la fama per come sono andate le cose. Quella fama che Amy odiava. La sottoponeva a una pressione troppo forte. Quel livello di notorietà, che alle persone a volte capita di toccare, non è realmente desiderabile. Chi lo brama è perché non lo ha mai raggiunto – e probabilmente non lo farà – e non sa cosa significhi. Ma sono passati dieci anni dalla sua morte e io ho voluto rendere omaggio alla vera Amy Winehouse, quella che conoscevo io, fuori dai riflettori ma sempre più viva, ora più che mai, dentro il cuore».
di Stefania Lastoria