EQUIVOCI E CERTEZZE DEL GOVERNO DI DESTRA

Il nuovo governo si è insediato con grande risonanza mediatica: non soltanto perché è il primo della nostra storia guidato da una donna, ma anche perché ha una maggioranza schiacciante in Parlamento, con una leadership chiara, che difficilmente sarà messa in discussione dai più deboli comprimari.

Se il primo fatto è certamente dovuto all’abilità politica della Meloni, i ridondanti numeri della maggioranza sono un po’ equivoci. In effetti, l’intera coalizione di governo è stata votata da un’ampia minoranza di elettori –  il 48%, cioè meno della metà – mentre i suoi oppositori hanno totalizzato addirittura una risicata maggioranza – il 52%, un po’ più della metà. A sua volta, il partito di maggioranza relativa ha avuto il 28% dei voti che, corretti dal dato dell’astensionismo, corrispondono a circa il 16% del corpo elettorale: non sono certo percentuali che giustifichino la pretesa di cambiare l’assetto costituzionale del Paese – pardon, Nazione. Ovviamente, le percentuali degli altri partiti rispetto alla totalità dei cittadini sono ancor più risibili, ma è bene ricordarlo a chi pretende, come spesso i politici fanno, di rappresentare la “volontà degli italiani”: ahimè, anche il partito di maggioranza relativa rappresenta una minoranza striminzita. Solo che non si vede.

Infatti, la maggioranza di destra deve il suo successo a un insieme di fattori, che influiscono impropriamente sui risultati elettorali veri e propri: la frammentazione del fronte avversario, la percentuale rilevante del “partito dell’astensione” e, soprattutto, il sistema elettorale peggiore del mondo, nato dall’iniziativa del duo Renzi-Rosato, forse la coppia politica più dannosa del dopoguerra. Una minoranza relativa è assurta alle dimensioni di maggioranza assoluta, grazie a strani meccanismi, per i quali i nostri rappresentanti sono eletti quasi all’insaputa degli elettori. Meccanismi così complicati che è stato difficile persino per il Ministero degli Interni completare l’elenco degli eletti, tra correzioni, ritardi e smentite.

Neanche la legge Acerbo o il famigerato porcellum erano riusciti a tanto.

E così il risultato dovuto alle alchimie elettorali consente oggi a una coalizione, votata da meno della metà degli elettori, corrispondente a un terzo dei cittadini, di governare e legiferare con una maggioranza parlamentare amplissima, del tutto sproporzionata rispetto ai suffragi ottenuti.

Ma governare come? Quali sono gli obiettivi di questo governo più volte annunciato come “di alto profilo”?

Si è diffuso nei media, come un mantra, il concetto che bisogna aspettare i risultati prima di esprimere valutazioni, ma anche questo modo di vedere è un po’ equivoco. In politica sono importanti anche i programmi e le persone cui si affida l’azione di governo. D’altronde in tutte le democrazie la fiducia viene data o negata preventivamente, non successivamente all’azione di governo.

E i motivi di sfiducia non sono pochi.

Per esempio, qualcuno si aspetta che la ministra del turismo Santanchè possa mettere in seconda linea i propri interessi di imprenditrice turistica? Se poi pensiamo che gli stabilimenti balneari si avvalgono di una concessione statale, la sua posizione di ministra appare piuttosto equivoca, poiché genera un evidente conflitto d’interessi, purtroppo non sancito dalla legge.

O ci si aspetta che Crosetto dimentichi improvvisamente i suoi legami professionali ed economici con l’industria delle armi? Anche qui un conflittino ci sarebbe, essendo lo Stato il maggior committente di quell’industria. Va bene voler promuovere il made in Italy, ma non è un po’ come nominare il signor Barilla ministro dell’agricoltura?

La scelta delle priorità appare evidente anche dall’aver trasformato la “transizione ecologica” in “sicurezza energetica”. Come dire: l’obiettivo non è più ridurre il consumo dei combustibili fossili, ma garantirne la disponibilità. Una scelta fin troppo evidente, ma mai esplicitata, di privilegiare l’economia a danno dell’ambiente; una scelta molto miope, considerato che il danno economico dovuto alla crisi climatica sarà ben peggiore, e ben più difficile da fronteggiare.

Trovo un po’ equivoco anche associare l’istruzione al merito, nel nuovo nome di quel ministero. Per lo meno è pleonastico: i voti e i giudizi esistono da sempre, e danno una graduatoria di merito da quando esiste la scuola. In fondo, la scuola spesso non riesce a compensare le differenze socio economiche tra gli studenti, ma riesce sempre a selezionare, come è evidente dal numero degli abbandoni scolastici. Forse sarebbe stato più sensato aggiungere quella parolina alla pubblica amministrazione, che è meno meritocratica, ma ne avrebbe più bisogno.

Qualche dubbio l’avrei anche sulla senatrice Bernini, nominata ministra dell’Università nonostante sia indagata per una storia di concorsi universitari truccati. Sarà innocente, speriamo, ma proprio lei doveva avere quell’incarico?

Come si vede, non c’è nessun vero cambiamento di rotta sotto il profilo dell’etica politica, nonostante al timone ci sia una donna. A riprova, se ce ne fosse bisogno, della parità dei sessi.

D’altronde, così va la politica.

Un cambiamento, però, sembra esserci stato, visto che nel discorso alla Camera la presidentessa Meloni ha preso le distanze dal fascismo e dalle leggi razziali con la dovuta chiarezza. Peccato che suo cognato, il ministro Lollobrigida, abbia dimostrato con i fatti che non è vero che il fascismo sia stato “consegnato alla storia”. Se no, non avrebbe partecipato all’inaugurazione del sacrario di Affile, dedicato a Rodolfo Graziani, un uomo del quale ogni sincero patriota dovrebbe vergognarsi: un comandante senza scrupoli, che altro non ha fatto che portare disonore all’Italia per i metodi usati nelle guerre coloniali, salvo poi perdere le battaglie più importanti nella guerra d’Africa.

Tipico del fascismo: forte con i deboli e debole con i forti.

Resta ancora un mistero perché quel monumento sia stato finanziato, costruito e dedicato a un criminale di guerra, colpevole di aver usato i gas nervini e di aver decimato intere popolazioni nei campi di concentramento: non sarà rimasta un po’ di nostalgia del fascismo, anche nelle sue più crudeli manifestazioni?

Ad ogni buon conto, anche il nostalgico cognato ora ha un ministero. Come declinerà la “sovranità alimentare”?

Altrettanto equivoca si prospetta la politica fiscale, tra condoni (oggi si chiamano “tregue”, tanto per tornare ai futili ma indicativi cambiamenti di nome) e flat tax, che però non è proprio flat, perché è incrementale, ma solo sui redditi dei lavoratori autonomi.

E qui serve una piccola premessa.

I lavoratori dipendenti pagano il 53% e i pensionati un altro 28%, per un totale dell’81% del gettito IRPEF totale. Imprenditori, commercianti e professionisti (i cosiddetti autonomi) contribuiscono solo per il 12% (dati consolidati relativi al 2019). Forse perché dipendenti e pensionati sono più ricchi? Forse perché sono dieci volte di più? Ovviamente no, il numero delle due categorie di contribuenti è pressoché uguale, mentre i più ricchi si trovano in linea di massima tra gli autonomi. E poi, perché un pensionato deve pagare un’aliquota maggiore di un commerciante, nonostante paghi le tasse tutte e anticipatamente? L’unico motivo che riesco a immaginare per un provvedimento così cervellotico è che gli autonomi siano considerati l’orticello elettorale della destra. E poi, si sa, anche gli elusori e gli evasori votano.

In compenso, gli italiani più poveri avranno la possibilità di spendere fino a diecimila euro in contanti per i loro acquisti, se ho ben capito. Ma forse ho equivocato…   

Resta, però, almeno una certezza granitica: che gli evasori hanno ritrovato in senato il loro paladino, tedoforo dei condannati per frode fiscale. E che il governo tutto è solidale con lui.

Cesare Pirozzi

 

 

 

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