La crisi climatica e la grande menzogna

Siamo d’accordo, non è una novità che gli affari sono affari e che il denaro fa girare il mondo. Va bene che per far soldi nessuno va molto per il sottile, e che la concorrenza è spietata. Però l’idea che un gruppo di persone abbia lucidamente deciso che il loro arricchimento è più importante del futuro dell’intera umanità, questo no, non lo credevo possibile.

Beata ingenuità!

Ma oggi non ci sono più dubbi in proposito, dopo le dichiarazioni del segretario generale dell’ONU Antonio Guterres al recente Forum economico mondiale di Davos.

“Il mondo sta vivendo una tempesta perfetta, stiamo flirtando con il disastro climatico” e “le conseguenze saranno devastanti in diverse parti del nostro pianeta, che diventeranno inabitabili, e per molti questa sarà una condanna a morte“, ha detto Guterres, mettendo al centro della prospettiva geopolitica la crisi climatica. E ne ha spiegato con chiarezza le cause: “Alcuni colossi petroliferi hanno spacciato per anni la grande menzogna” sul riscaldamento globale. “Alcuni produttori di combustibili fossili erano ben consapevoli negli anni ’70 che il loro prodotto di punta avrebbe bruciato il pianeta. Ma come avvenuto per l’industria del tabacco, hanno ignorato la loro stessa scienza”. E quindi, a suo giudizio, “i responsabili debbono essere perseguiti” come nel caso delle compagnie del tabacco. Per concludere, ha definito “una follia” l’attuale aumento della produzione di idrocarburi, del quale qualcuno ancora continua a sostenere la necessità.

Ovviamente, Guterres non era ubriaco, anzi non è mai stato più lucido. D’altronde le sue dichiarazioni hanno un fondamento scientifico prima che politico.

Infatti, il 13 gennaio 2023 la rivista Science ha pubblicato lo studio “Assessing ExxonMobil’s global warming projections”, a firma di G. Supran (Harvard University), S. Rahmstorf (Istituto per la ricerca sul clima di Potsdam, Germania) e N. Oreskes (Harvard University). Gli autori hanno valutato gli studi portati avanti dalla compagnia petrolifera fin dagli anni settanta, concludendo che questi prevedevano con grande accuratezza il riscaldamento globale che oggi stiamo vivendo.

Ovviamente si tratta di un articolo molto serio e documentato, pubblicato su una prestigiosissima rivista scientifica, che non lascia più spazio a opinioni politiche diverse.

Anche il saggio “Merchants of Doubt”, della stessa Oreskes con Eric M. Conway, già nel 2010 mostrava con dovizia di particolari la disonestà del comportamento di quelle compagnie petrolifere in difesa dei propri interessi.

Ciò che Guterres ha reso ufficiale e definitivo con il suo discorso è che i risultati di quegli studi sono stati occultati dalle compagnie petrolifere che hanno, oltretutto, orchestrato campagne di disinformazione per mettere in dubbio l’origine antropica della crisi climatica, se non la sua stessa sussistenza. Lo hanno fatto deliberatamente, pur conoscendo la verità, con la piena consapevolezza di mentire.

Dietro la decisione di nascondere la verità ci sono esseri umani che abitano questo stesso pianeta. Hanno, presumo, dei figli e avranno anche loro dei discendenti, cui si prospetta un futuro drammaticamente diverso. Forse sono convinti che chi è impaccato di soldi può cavarsela anche dal disastro ambientale.

Ma le compagnie petrolifere non stampano giornali né hanno reti televisive. Campagna di disinformazione, nel loro caso, vuol dire ottenere che alcuni giornali e reti televisive sposino le loro tesi. Per esempio, dando dei “gretini” ai seguaci di Greta Thunberg, o ironizzando sull’ingenuità degli adolescenti che partecipano alle manifestazioni ambientaliste, al fine di ridicolizzare la protesta per la crisi climatica e le sue ragioni. Oppure dando spazio a pseudo esperti ed opinionisti favorevoli alle tesi negazioniste dell’origine “antropica” – deliberata e consapevole – della crisi climatica.

Oggi la politica delle compagnie sta cambiando, nel senso che non punta più a negare o mettere in dubbio la crisi climatica e le sue cause. Punta piuttosto al cosiddetto greenwashing, cioè alla costruzione di una nuova immagine – sarebbe meglio dire maschera – più sensibile ai problemi ambientali, sociali e culturali.

La francese TotalEnergies sponsorizza la Coppa del Mondo di rugby del 2023 in Francia. La saudita Aramco ha una collaborazione con la riserva naturale spagnola Laguna de El Hito per la protezione della fauna. Chevron ha sponsorizzato il progetto sociale “Community Inclusion” in Brasile. BP sostiene economicamente il British Museum di Londra dal 1996.

Hassan Allam, una grossa società egiziana di costruzioni che intende “trasformare il paese in un hub regionale per il gas naturale”, è tra gli sponsor della recente COP27 di Sharm El Sheikh.

In Italia, Eni ha sponsorizzato l’edizione 2022 del festival di Sanremo. L’azienda collabora inoltre con 10 università e istituti di ricerca in tutto il Paese.

Marco Grasso, professore ordinario dell’Università Milano-Bicocca, si è dimesso dal suo incarico di direttore del gruppo di ricerca “Antropocene” a causa dell’accordo stipulato dall’università con l’Eni, per l’evidente conflitto di interessi. Secondo lo studioso “la consapevolezza dei danni causati dai derivati dei combustibili fossili sta aumentando: le aziende hanno bisogno del consenso sociale per continuare a lavorare”. Ecco perché si costruiscono un’immagine di vicinanza agli interessi sociali, scientifici, sportivi e culturali, un’immagine di amichevolezza, partenariato e utilità. Oltretutto con una spesa piuttosto contenuta per i loro bilanci.

La Sorgenia ha iniziato una campagna pubblicitaria molto suggestiva – con Bebe Vio come “testimonial” – in cui prospetta di installare i pannelli fotovoltaici sui tetti di tutte le case. Anche sul loro sito dichiarano da molto tempo di installare pannelli fotovoltaici su richiesta del cliente. Poiché io sono cliente di Sorgenia, ho ingenuamente chiesto di installare i pannelli sulla terrazza del condominio in cui abito e sul tetto della mia casa di campagna. Ma non è possibile, perché non lo fanno sui condomini (nonostante la normativa vigente lo consenta) e, guarda caso, non servono la provincia dove è situata la casa in campagna. In parole povere, la loro pubblicità è solo un altro caso di greenwashing.

Ma le compagnie del petrolio e del gas hanno bisogno anche della politica. Alla fin fine sono i governi e i parlamenti a decidere se, come e quando attuare la riduzione delle emissioni: se anteporre la sopravvivenza della nostra civiltà e delle nostre popolazioni alle ragioni dell’economia o, per meglio dire, dell’arricchimento di pochi.

Perché di questo si tratta.

Abbiamo visto nella recente vicenda di corruzione di alcuni membri del Parlamento Europeo che certi metodi non sono estranei all’azione delle cosiddette lobby. Altrettanto significativa è la vicenda dell’ex cancelliere tedesco Schroeder, che pochi mesi dopo la fine del suo ultimo mandato è stato messo da Gazprom alla guida del consorzio Nord Stream.

Possiamo pensare che non ci siano state interferenze nei confronti della politica? Che qualcuno non si sia lasciato corrompere con “bustarelle” o con altri benefici, magari meno diretti? Sta di fatto che molti governi continuano ad essere succubi delle compagnie che vendono idrocarburi e che, come dice Guterres, fanno “bruciare il pianeta”.

Un ottimo esempio di collusione tra i governi e quelle compagnie è il recente viaggio in Libia della premier Meloni e dell’amministratore delegato dell’ENI Descalzi.

Hanno presentato come “storico” l‘accordo per lo sfruttamento di due nuovi giacimenti di gas, che sarà utilizzato per produrre ancora gas serra e contribuire ulteriormente alla crisi climatica planetaria. Ovviamente non sono state queste le parole usate dalla presidentessa Meloni per presentare l’accordo. Ma si continua a sostenere la necessità di aumentare l’estrazione di combustibili fossili; per usare le parole di Guterres, “una follia”. A conferma della sudditanza di buona parte della stampa, pochissimi l’hanno confutata.

Oltretutto l’investimento necessario a questo bel risultato sarà di 8 miliardi, che ovviamente pagheremo noi sulle bollette di gas ed elettricità. Ci conviene davvero? E quanti interventi potremmo fare con quella cifra nella direzione di una sacrosanta transizione ecologica?

Quello che più mi rattrista è la sinergia tra la miopia della politica e l’avidità delle società produttrici di idrocarburi che, in nome dei presunti benefici economici di oggi, sta concertando – più o meno consapevolmente – la morte dell’economia di domani, quando il riscaldamento globale avrà messo in ginocchio l’intera umanità.

Ma l’effetto serra non è l’unico danno del fossile.

Il 27 scorso è stato il giorno della memoria, in cui tutti, almeno ufficialmente, hanno rinnovato la condanna ai crimini contro l’umanità perpetrati dal nazifascismo. Quelli hanno deliberatamente ucciso 6 milioni di ebrei nei campi di sterminio in nome della supposta grandezza delle loro nazioni. Questi fanno morire 6,7 milioni di persone all’anno per l’inquinamento da idrocarburi in nome del loro tornaconto economico (il dato è riportato da Le Scienze, 31 maggio 2022; il totale dei morti/anno per inquinamento in generale è calcolato in 9 milioni/anno). Ma forse non ci sarà un futuro in cui celebrare un altro giorno della memoria per questo nuovo e forse peggiore crimine contro l’umanità.

Cesare Pirozzi

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