Pericolosi nemici del Terzo Reich e della Repubblica fascista di Salò

Il 15 aprile 1965, con DPR n. 510 a firma del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione (l’istruzione era ancora pubblica) Luigi Gui, Aldo Moro capo del governo e Luigi Longo Segretario del P.C.I., fu dichiarata Monumento Nazionale la Risiera di San Sabba.

La risiera, che fu costruita per essere adibita alla pilatura del riso, fu utilizzata dai nazisti dapprima come campo di prigionia e poi come Polizeihaftlager (Campo di detenzione di polizia) e le fu data una funzione multiuso: deposito dei beni rubati con la complicità delle camicie nere, smistamento dei deportati verso la Germania e la Polonia, carcerazione ed assassinio di ostaggi, detenuti politici, partigiani ed ebrei. Risulta dalle numerosissime testimonianze scritte che la prima cella a sinistra, entrando in quella macelleria, fosse chiamata “cella della morte”, all’interno della quale venivano “ammucchiati” i prigionieri che erano destinati ad essere assassinati e successivamente cremati, senza distinzioni tra uomini, donne e bambini anche di pochi mesi. Le “procedure”, così ignominiosamente definite, prevedevano, come riportato sul sito della Risiera, “gassazione in automezzi appositamente attrezzati, colpo di mazza alla nuca o fucilazione. Non sempre la mazzata uccideva subito, per cui il forno ingoiò anche persone ancora vive. Fragore di motori, latrati di cani appositamente aizzati, musiche, coprivano le grida ed i rumori delle esecuzioni”.

Migliaia e migliaia di bambini ebrei furono catturati e deportati, alcuni passarono per la Risiera, altri vi furono immediatamente gassati. È stato calcolato, con approssimazione per difetto, che la percentuale di bambini catturati e deportati dall’Italia sia stata, in rapporto alla popolazione ebraica, sensibilmente maggiore rispetto alle cifre di altri paesi dell’Europa Occidentale quali la Francia ed il Belgio. In Italia la popolazione infantile deportata è pari alla popolazione ebraica complessiva, mentre in Francia scende al 14,2% ed in Belgio al 12,3%. Dai campi di concentramento rientrarono soltanto 280 bambini, appena il 19,3% degli ebrei sopravvissuti. Una carneficina, alla quale non riuscirono a scampare e sopravvivere Anna, Benedetto, Elena, Fiorella, Giuseppe e Umberto Bondì di Tolfa. Sei bambini che unitamente ai loro genitori avevano la sola colpa di essere ebrei. Un papà, Leone Bondì, ed una mamma, Virginia Piperno, che insieme ai loro figli furono bruciati ad Auschwitz in nome di atroci, inumane e criminali leggi razziali.

Noi vogliamo continuare a credere che quelle innocenti voci possano essere ricordate con le parole di Athanasulis

Ho gridato, ho gridato mille e mille volte no,

ma soffiava un gran vento, e pioggia e grandine

hanno sepolto la mia voce.

Ti lascio

la mia storia vergata con la mano

d’una qualche speranza.

A te finirla.

E noi, ancora commossi dalle grida di quei bambini e di tutti gli altri che passarono dalla Risiera di San Sabba e che furono trucidati e cremati lì o negli altri lager nazisti, continueremo a gridare il nome di quegli orribili assassini che si genuflessero alla ignominia delle leggi razziali e che nel 1938 si accodarono come pecore al delirio nazista. Quelle ignobili idee vennero propagate da una rivista: La difesa della razza, il cui segretario di redazione, fin dal 20.9.1938 fu Giorgio Almirante. Uno degli articoli di Almirante, datato 5 maggio 1942, così riportava: “Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue». E, sempre per non farsi mancare niente, lo stesso Almirante nel 1943 entrò a far parte della Repubblica di Salò e venne nominato capo di gabinetto del ministero della propaganda e firmò un proclama con il quale invitava, dopo l’8 settembre, i militari italiani ad arrendersi e consegnare le armi alle milizie fasciste o all’esercito tedesco, pena la fucilazione. Almirante sostenne che quel documento, pubblicato da L’Unità nel 1971 fosse un falso. Ne seguì una lunga battaglia legale e dopo sette anni il Tribunale appurò che quel documento fosse vero e che Almirante ne era l’autore.

Incredibile ma vero, il Comune di Tolfa, a perenne ignominia di coloro che lo decisero, sempre ammesso che possano ancora essere, almeno nella coscienza degli antifascisti e dei democratici, portatori di dignità democratica, intitolò una via del paese al Segretario di Redazione de La difesa della razza, al redattore di quella ignobile rivista che si fece portatrice della necessità di assassinare tramite camera a gas e cremare Leone Bondì e Virginia Piperno ed i loro sei figli: Anna, Benedetto, Elena, Fiorella, Giuseppe e Umberto.

Noi, ancora sommersi da un atroce dolore, non possiamo che rivolgere a tutte le vittime della Shoah e dell’antifascismo il nostro solenne impegno di conservarne una perenne memoria.

Pietro Lucidi

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