Amore e Potere: dinamiche di violenza nella coppia lesbica

Angela Infante ad Orvieto presenta “Donne Impreviste

 Nella serata del 9 febbraio presso Lo Scalo Community Hub ad Orvieto Angela Infante, educatrice e counselor presso il reparto di malattie infettive di Torvergata, ha presentato il libro “Donne Impreviste: storie dietro le quinte” scritto da lei in collaborazione con Lucia Caponera e Alessandra Rossi.

L’evento è stato il primo di una rassegna di tre incontri, nata in collaborazione tra Lo Scalo Community Hub e l’Istituto Universitario Progetto Uomo, che si concentra sulla figura dell’altro, in questo caso l’altro in una relazione di coppia, in particolare in una relazione omosessuale.

La presentazione è stata introdotta dal prof. Massimiliano Nisati, docente dell’Istituto Universitario Progetto Uomo, e moderata dalla dott.ssa Elisabetta Ruina, educatrice e laurenda presso l’Istituto.

Il tutto è stato accompagnato dalla voce e la chitarra di Andrea Caponeri. Le canzoni che hanno accompagnato tutta la presentazione, “Princesa” di Fabrizio de Andrè, “Maddalena” di Pierangelo Bertoli e “La costruzione di un amore” di Ivano Fossati, hanno dato alla presentazione un taglio conviviale e comunitario.

Dopo l’introduzione del prof. Massimiliano Nisati sull’importanza di non chiudersi all’altro e vederlo non come una minaccia esterna ma come una risorsa, uno specchio che ci riflette ciò che siamo e ciò che vorremmo e potremmo essere, Angela Infante ha iniziato illustrando ciò che in seguito le ha dato l’ispirazione per portare avanti la scrittura di questo libro ma soprattutto la divulgazione dell’argomento: un incontro durante una seduta di counseling in cui si era palesemente accorta di un dislivello di potere tra le due donne che aveva di fronte in quel momento. Ha cominciato quindi a chiedersi come fosse percepita sia dalle donne all’interno della relazione ma anche dall’esterno, nei centri anti-violenza e nei pronti soccorsi, una situazione di violenza e abuso, fisico o psicologico, quando ad esserne protagonista non è la canonica coppia eterosessuale ma lesbica. La percezione del fenomeno, come purtroppo immaginava, era quasi nulla, allora ha deciso di portare avanti un progetto di ricerca, “Eva contro Eva”, risultato di un lavoro di sinergia e collaborazione di un gruppo di donne che mettendo a disposizione il loro tempo e le proprie competenze hanno voluto mettere in luce le modalità, le forme e gli esiti finali con cui la violenza può manifestarsi ed evolversi in una relazione di intimità fra donne. Angela Infante, commentando il report, ha evidenziato come i comportamenti violenti erano il risultato nella maggior parte dei casi di una condizione di disparità economica e lavorativa che creava delle dinamiche di potere squilibrate con l’inevitabile perdita di autonomia di una delle due donne; le condotte violente, dai questionari che ha raccolto, erano prevalentemente indirette, manipolative e correlate di minacce e solo alcune erano poi effettivamente accompagnate da atti di violenza fisica diretta. Quando veniva poi posta a queste donne la domanda “in caso di violenza chiederesti aiuto?” è risultato che non solo un gran numero di queste donne non avrebbe chiesto aiuto per il fatto che non sapevano a chi rivolgersi, ma che sicuramente non si sarebbero rivolte a polizia o centri anti-violenza sicure di non essere comprese e prese seriamente. L’ultima fase di questa ricerca si riassume nel progetto “NarrAzioni sulla violenza di genere” basato su una metodologia qualitativa con lo scopo di utilizzare in questo caso la scrittura autobiografica per canalizzare le violenze, subite o attuate. La seconda parte del libro infatti è una raccolta in forma anonima di storie, inframezzate da collage composti dall’autrice, riprese proprio da questo progetto e raccontano il punto di vista delle violenze non solo delle donne abusate ma anche di quelle abusanti. Quando durante la presentazione ad Angela Infante viene fatto notare il carattere innovativo di questa impostazione ovvero di inserire in un libro che parla di violenza nella coppia lesbica non solo le testimonianze delle vittime di violenza ma anche di coloro che hanno preso coscienza e si sono accorte del loro ruolo di abusanti, lei afferma che non è stato facile riuscire a lavorare in quel senso, dal momento che dalla sua impressione come donna e dalla sua esperienza di counselor si è resa conto che difficilmente le donne, in qualsiasi caso di violenza agita, riescono a scardinarsi da quel ruolo di vittima che la società ha sempre imposto loro, e risulta molto complicato per loro comprendere che possono anche essere loro stesse le aguzzine.

È stato liberatorio vederli volare via. Le pagine come ali bianche, fuori dalla finestra. Ricordo i tuoi occhi stupiti, il mio senso di rivalsa: ti ho visto farti bambina. […] In quello spaesamento sono riuscita ad amarti di nuovo.” Scrive Anna (abusante).

Ho capitolato, per il nostro anniversario: allungai la gonna di due centimetri, le feci questo regalo. […] Ci siamo amate per otto lunghi e interminabili anni, i miei vestiti si sono allungati di due centimetri ogni anno […]. Oggi ho sessanta anni e indosso sempre, di giorno, di sera, in ogni occasione un vestito corto blu notte con le spalle nude coperte solo di tulle.” Racconta Laura (abusata).

La violenza in qualsiasi coppia, lesbica, gay, etero, è un mostro subdolo, è come una goccia che con il tempo scava la roccia. Non ci sono necessariamente lividi o segni visibili per riconoscerla, molte volte le cicatrici e i segni rimangono dentro incisi nell’anima causati da recriminazioni, accuse, consigli non richiesti dati per il tuo bene, azioni e parole che giorno dopo giorno minano la fiducia e l’autostima convincendo la vittima che forse è vero, forse sta sbagliando qualcosa se la reazione ai propri comportamenti dell’altra persona è tanto rabbiosa, forse addirittura si dovrebbe anche vergognare. Per questo è veramente importante in questi casi l’educazione, come si desume anche dalle domande e dai commenti decisi e brillanti venuti dal pubblico che hanno dato via ad un avvincente e intrigante dibattito. Un’educazione non solo volta a far prendere coscienza ed aiutare la vittima ma anche orientata ad un recupero e una rieducazione dell’abusante, cosa non semplice in Italia a causa della poca presa di coscienza sull’argomento e la scarsa formazione degli operatori nei centri anti-violenza su questo ambito.

L’educazione deve scardinare stereotipi e parole legate ad un modello patriarcale della società, come sottolinea anche Marina Marini, counselor e collaboratrice di Angela Infante nel progetto, deve essere il punto di partenza per poter muovere i primi passi che portino all’evoluzione e al superamento di schemi e sovrastrutture culturali che non ci permettono di vedere più in la del nostro naso. L’educazione non deve essere solo la cura, deve essere la scintilla.

 Elisabetta Ruina