Glorificato ossia divorato
Impose lui la dizione discesa in campo. In quale campo, però, non era chiaro allora, né lo è ancora oggi. Così come non lo era e non lo è lo stesso termine discesa. Il 24 gennaio 1994, attraverso un messaggio preregistrato di nove minuti diffuso da tutti i telegiornali nazionali, l’imprenditore edile, finanziario e televisivo Silvio Berlusconi annuncia la sua fatidica decisione. Appena due mesi dopo, alla guida del suo partito personale Forza Italia, vince le elezioni politiche del 27 e 28 marzo. Una discesa, dunque, che nell’atto stesso di essere pronunciata era già un’ascesa.
Discesa nel campo della politica? O in quello della scena pubblica, all’interno del quale agonizzava ormai quello della politica? La scena pubblica, infatti, era determinata in maniera sempre più decisiva dalla scena mediatica. Scena sconvolta negli ultimi anni proprio dalle televisioni di Berlusconi, che segnano una cruciale discontinuità in forme e contenuti con l’offerta fino allora unica, sebbene ripartita in tre canali, di mamma Rai. Tre canali – Rai 1, Rai 2 e Rai 3 – che rappresentavano anche l’equilibrio nel campo politico, o arco costituzionale: Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Comunista Italiano.
Proprio questa impalcatura è mandata in frantumi nel 1992 dall’inchiesta giudiziaria denominata Mani Pulite. Sono gli anni immediatamente successivi al crollo del Muro di Berlino, nel 1989, cui segue quello dell’Unione Sovietica, ossia di uno due poli – l’altro sono gli Stati Uniti d’America – su cui si reggeva l’equilibrio internazionale tra potenze atomiche. Soprattutto in Italia il campo politico era rigidamente bilanciato su questo dominante duopolio nucleare mondiale. L’ultimo grande tentativo di dare un nuovo assetto al campo politico italiano è quello sperimentato da Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. Esperimento che prese il nome di compromesso storico, e mai attuato, perché avversato sia dagli Usa che dall’Urss. Il primo ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978, l’altro tragicamente colto da un’emorragia celebrale durante un comizio a Padova l’11 giugno 1984. Il 3 ottobre1973, però, Berlinguer è andato già molto vicino alla morte in uno strano incidente in Bulgaria, sulla strada che conduce all’aeroporto di Sofia. In esso morì l’autista e rimasero gravemente feriti due suoi accompagnatori. “Hanno tentato di ammazzarmi”, confida poi alla moglie Letizia.
Nel 1994, dunque, non c’è più alcun vero campo politico su cui scendere. Lo stesso leader socialista Bettino Craxi, che in maniera determinante ha favorito l’ascesa televisiva e politica di Berlusconi, è il primo a essere spazzato via da Tangentopoli. Nel 1992 gli utili di Berlusconi sono di 21 miliardi di lire, a fronte di un indebitamento finanziario di 3400 miliardi, con un totale di 6000 miliardi di debiti, a fronte di un patrimonio netto di 1200 miliardi. Esule Craxi ad Hammamet, latitante il suo scudo protettivo, non può che nascere Forza Italia. Non un vero partito politico, dunque, frutto di sedimentazione sociale nel corso di un processo storico. No, un’organizzazione personale e personalistica costituita a tavolino da Berlusconi, con responsabili diversi dirigenti delle sue aziende e alcuni prof cooptati ad hoc. Mentre prima erano i grandi capi imprenditori a servirsi dei leader politici, ora è un imprenditore ad autoproclamarsi leader politico a capo di un autoproclamato partito aziendale. È l’imprenditore aureolato da successo che non scende, ma direttamente ascende: sulle miserie e macerie storico-politiche di fine Novecento. Lo fa, però, sussumendo a sé il vecchio quadro politico in disgregazione. Quello, in primo luogo, democristiano, socialista, repubblicano, liberale, cui incolla, tramite sdoganamento, la destra d’origine fascista del Movimento Sociale Italiano, guidato allora da Gianfranco Fini. Partito divenuto poi – proprio per meglio nell’orbita ascendente berlusconiana – tra la fine del 1994 e l’inizio del 1995, Alleanza Nazionale. In quella prima fase anche il Partito Radicale, guidato da Marco Pannella, aderisce al piatto ricco mi ci ficco. La sussunzione, infatti, non è puramente politica, ma soprattutto di potere economico e mediatico. Sul vecchio campo Berlusconi cala, a profusione, soldi, cariche istituzionali, spazi politici e mediatico-propagandistici. A oggi, la sola Forza Italia, è esposta per un debito di circa cento milioni di euro, nei confronti del suo fondatore. Ossia, le corone di fiori che deputati e senatori forzisti stanno copiosamente spedendo ad Arcore sono comprate con i soldi succhiati, caramente, allo stesso caro estinto. Sempre taciuti – per discrezione, veti, ricatti condizionamenti – gli altrettanto generosi esborsi elargiti negli anni agli alleati.
Ed è proprio nell’immediata trionfale ascesa, che inizia l’inesorabile discesa, il precipizio. Quella dentro il fango, i calci agli stinchi con i tacchetti degli scarpini, le gomitate ai fianchi del vecchio, immarcescibile campo politico. Perché è nella stessa illusoria protervia di tale ascesa che è insita la discesa. Sussumere a sé la fine della politica con i mezzi della politica significa non tanto discendere, quanto far scendere dentro le proprie viscere la caduta degli dèi. Di tutti gli emuli berlusconiani del partito non partito, ossia non più politico, ma solo personale, non ce n’è uno che non abbia sperimentato la caduta: Lamberto Dini, Mario Monti, Beppe Grillo, Matteo Renzi. Lo stesso Mario Draghi, con il suo governo tecnico costretto sulle stampelle degli sciancati. Anche Donald Trump, dopo la celebrazione proprio perché outsider della politica, imprenditore di successo, ha tentato di costringere, dimensionare alla propria impoliticità un partito con forte radicamento tradizionale quale quello Repubblicano e l’intera politica americana. Pure lui è stato inesorabilmente ingurgitato dalla medesima illusoria pretesa.
Chiunque si erga a trapassare il tramonto della politica, ma lo fa attraverso la rivivificazione strumentale del suo fantasma, non può che avere un destino segnato: essere ridotto a suo osceno zombie proprio da quello spettro.
Per questo la politica lo glorifica, ossia dopo averlo divorato, arcaicamente – lo evacua.
Riccardo Tavani