SMALL IS BEAUTIFUL

PILLOLE DI ECOLOGIA INTEGRALE

Gli anni Settanta furono quelli dove le migliori menti del pensiero ecologista, lavorarono sulle previsioni di quello che sarebbe successo nell’immediato futuro. Ernst Franz Schumacher nella sua raccolta di saggi intitolata “Small is beautiful” ne fa una questione di misure, enuncia la sua teoria basata sul fatto che nel piccolo i problemi sono più risolvibili, le economie funzionano meglio, le diseguaglianze e i problemi razziali calano drasticamente, insomma le piccole comunità sono vincenti in caso di criticità e problematiche, mentre le grandi dimensioni (comunità, città, stati, amministrazioni governative) a causa della loro large-size non riescono a risolvere e gestire la quantità di problemi che sorgono. Il suo pensiero affrontava i temi di quegli anni, come la globalizzazione e la idolatria del gigantismo.

Un altro pensatore di quel tempo, con la sua teoria del consumo, fu l’economista Nicholas Georgescu Roegen, fautore del pensiero non convenzionale e fondatore della bio-economia, il quale si appoggiava su calcoli legati all’entropia e alla legge della termodinamica che, secondo lui, riguardavano tutti i processi che avvengono all’interno del nostro ecosistema. Processi legati agli stock dei flussi d’ ingresso, relativi alle risorse prelevabili e disponibili, contenute nel nostro sistema e allo stesso tempo la considerazione anche allo stock dei flussi in uscita, ossia quello riguardante le scorie prodotte a livello globale dall’umanità intera. In pratica la bio-economia considera della stessa importanza la produzione di prodotti dedicati al consumo e la grande massa di scorie da noi prodotte (flussi legati alla famiglia umana che l’ecosistema deve riuscire ad assorbire in qualche modo). Georgescu insieme ad Aurelio Peccei furono le menti del pensiero ecologista degli anni ’70, in quel periodo si cominciò a riflettere sui temi ambientali e vennero fatte riflessioni illuminanti sulla complessità dei sistemi economici moderni in rapporto alle relazioni umane, alla società e alla politica.  Di modelli matematici applicati ai limiti delle risorse naturali, si avvalsero anche gli studenti del MIT di Boston, ai quali venne dato mandato nel 1972 da Peccei e dal gruppo di pensatori fondatori del “Club di Roma”, per fare ricerca su un modello complesso a tante variabili che tenesse conto di tutte le variabili di tipo sociale, ambientale, economico, politico, giuridico, ecc. Gli studenti restituirono i risultati della loro ricerca, ovvero una drammatica evidenza matematica utilizzando un modello lineare, il cui risultato era sconvolgente e mostrava che nel giro di cento anni il pianeta sarebbe giunto al collasso. La prevedibile mancanza di risorse naturali in quanto non inesauribili come si credeva, l’inquinamento dell’aria, del suolo, dell’acqua, avrebbero avuto effetti catastrofici non solo sulla salute del pianeta e dei suoi abitanti, ma anche sull’economia, sull’industria, sulla pesca e sull’agricoltura. Alexander King e Bertrand Schneider rispettivamente fondatore e segretario del Club di Roma composto da circa 150 scienziati di tutto il mondo, decretarono la colpevolezza del genere umano affermando: «Nella ricerca di un nuovo nemico che ci unisse, ci venne l’idea che poteva servire a tale compito l’inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d’acqua, la carestia e simili…Ma designando queste cose come il nemico, cadiamo nella trappola di scambiare i sintomi per le cause. Tutti questi pericoli sono causati dall’intervento umano».

La catena dei vari passaggi delle attività antropiche quali: estrazione, produzione, lavorazione, distribuzione, consumo e smaltimento, avrebbe provocato il disastro ecologico che stiamo vivendo ai nostri giorni. Lo sfruttamento delle risorse con il loro conseguente inevitabile esaurimento, l’estinzione di specie animali terrestri e marine, l’inquinamento atmosferico, la tossicità dei suoli e delle falde acquifere causato dai prodotti chimici e dagli scarichi industriali, l’inquinamento dei mari e dei fiumi a causa della enorme quantità di liquami  inquinanti che vi fluiscono, i trasporti su gomma e le loro emissioni climalteranti, la siccità causata dall’innalzamento della temperatura, la deforestazione di grandi aree destinate all’agricoltura o agli allevamenti intensivi, la desertificazione che causa le migliaia di migranti costretti a muoversi dai loro territori perché diventati invivibili, ebbene erano tutte le reali possibilità che già nel 1972 gli studiosi del Club di Roma avevano previsto e reso pubbliche.

Impossibile non notare che in questi cinquanta anni si sia fatto troppo poco per arginare il problema o per risolverlo. La speranza comunque rimane viva, si ripone soprattutto nei giovani e nel credere che le nuove generazioni, siano in grado di cogliere questa criticità in tempo per offrire soluzioni utili al pianeta e a tutta la famiglia umana che lo abita.

Silvia Amadio

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