Il saluto fascista e la riforma del premierato

Il recente episodio della manifestazione di via Acca Larentia, con la ripetuta esibizione del cosiddetto “saluto romano”, ha causato molti commenti da parte della politica e dei mezzi di comunicazione, riportando l’attenzione sulle simpatie neofasciste di nutriti gruppi politici organizzati, e forse dello stesso partito di Fratelli d’Italia, attualmente al governo e in posizione preminente nella maggioranza parlamentare.

Purtroppo, si continua a chiamare quel gesto “saluto romano”. Peccato che i romani non abbiano mai salutato così. Nessuna statua o raffigurazione, nessun documento dell’epoca ha mai riportato quel tipo di saluto. Una documentata storiografia ha ormai accertato che il saluto ”romano” è stato inventato da Gabriele D’Annunzio per il film Cabiria del 1914, di cui il poeta curò parte della sceneggiatura e le didascalie.

“Lo stesso tipo di saluto fu usato, qualche anno dopo, dai legionari fiumani di D’Annunzio e, successivamente, fu adottato dal partito fascista, con la scusa di riportare in auge un’usanza dell’antica Roma, quando invece stavano semplicemente adottando l’invenzione scenica di un film. Ma proprio per la sua origine cinematografica, quel saluto possedeva un indubbio appeal, e contagiò i nazisti, i franchisti e i seguaci del dittatore greco Metaxas: in pratica tutta la destra fascista d’Europa”. Il virgolettato è tratto da un mio precedente articolo su Stampacritica, scritto più di due anni fa per ricordare che anche Breivik, il neonazista autore della strage di Utøya, soleva salutare allo stesso modo. D’altronde, dalla caduta ufficiale del nazifascismo in poi, non sono stati pochi gli stragisti che lo hanno usato, anche in Italia; ed è usato dai gruppi e movimenti politici di tutto il mondo che al nazifascismo si ispirano, compresi i convenuti in via Acca Larentia, come biglietto da visita e segno di riconoscimento; a prescindere dal valore che i giudici di cassazione vorranno dargli rispetto al reato di apologia del fascismo che, si sa, è ridotto a fattispecie piuttosto ristrette e improbabili. Ma un conto è il peso di un gesto dal punto di vista penale, un altro è il peso politico, cioè quanto dimostra dell’orientamento di chi lo compie: si può discutere sul primo aspetto, ma il secondo è inconfondibile, serve a dichiarare la propria appartenenza al nazifascismo.

Resta, se mai, da capire se la nostalgia nazifascista, connotata in modo inequivocabile dal braccio alzato, abbia a che vedere o no con il partito oggi maggioritario in Italia, ed eventualmente in che misura. Per farlo, vorrei esaminare non tanto le affermazioni dei suoi rappresentanti, quanto un esempio concreto.

Nel 2012 il comune di Affile ha costruito un monumento al generale Graziani, in qualità di suo “più illustre soldato”. A mio avviso non si può considerare illustre un militare condannato a 19 anni di galera per collaborazionismo con i nazisti e considerato criminale di guerra dall’ONU per aver usato i gas tossici e bombardato gli ospedali della Croce Rossa durante la guerra d’Etiopia. Ma fece di peggio dopo che questa guerra era finita: la strage di Addis Abeba (migliaia di civili etiopi uccisi brutalmente per rappresaglia) e il massacro di Debra Libanòs, un monastero cristiano copto (che conserverebbe, tra l’altro, la vera Croce), dove furono massacrati e lasciati insepolti, sempre per rappresaglia, più di 1400 civili, tra i quali moltissimi religiosi.

D’altronde, la carriera militare di Graziani fu dovuta alla sua adesione al partito fascista, non certo ai meriti, giudicati molto modesti dalla moderna storiografia. Come uomo e come militare il suo stesso ricordo è un disonore per l’Italia tutta, compreso il comune di Affile. Perché mai allora tributargli l’onore di un mausoleo, se non per lo stesso motivo della sua carriera, cioè l’essere stato un rappresentante di spicco del regime fascista?

Gli amministratori comunali e regionali che hanno speso soldi pubblici per onorare un assassino spietato e inumano, sia chiaro, appartenevano al partito della Meloni; anzi, suo cognato Lollobrigida partecipò all’inaugurazione del mausoleo, confermando così l’adesione del partito all’iniziativa.

È vero che la sentenza di condanna per apologia del fascismo nei confronti del sindaco di Affile è stata “annullata con rinvio” dalla Cassazione con motivazioni piuttosto discutibili, ma qui c’è qualcosa di peggio dell’apologia. Questo è un episodio di negazionismo verso efferati crimini di guerra e di pace, che non si giustifica se non con una continuità ideale con il regime fascista nella sua versione peggiore. Continuità avvalorata dal fatto che Graziani fu nominato presidente onorario del MSI, partito fondato da ex repubblichini “in opposizione al sistema democratico per mantenere viva l’idea del fascismo”. E che Fratelli d’Italia discenda da quel partito non ve lo devo spiegare io, è nei fatti e nelle persone, ed è graficamente testimoniata dalla fiamma tricolore, che ancora campeggia nel logo di Fratelli d’Italia.

Si potrebbero fare altri esempi, come i casi di Marcello De Angelis o di suo cognato Ciavardini, ma questo basta e avanza.

Non voglio con questo dire che Fratelli d’Italia sia un partito neofascista tout court, ma è evidente che ha in pancia simpatie, connivenze e un’eccessiva comprensione per il pensiero e la tradizione fascista. Né posso pensare che tutti i suoi elettori siano nostalgici del regime, ma è innegabile che abbiano una scarsa sensibilità verso le radici antifasciste della Repubblica.

Tornando ad Acca Larentia, è anche vero che queste manifestazioni, come quelle di Predappio, avvengono tutti gli anni, e tutti gli anni si svolge il triste rito dei saluti fascisti. Ma oggi ci sono delle differenze rilevanti.

La prima è che Fratelli d’Italia è al governo ed ha una posizione preminente nella maggioranza. Poi, che la Digos chiede i documenti ad uno che grida “viva l’Italia antifascista” dal loggione di un teatro, quasi fosse un reato l’apologia dell’antifascismo (il mondo alla rovescia, direbbe un certo generale). Infine, che FdI ha deciso l’inedita riforma istituzionale dell’elezione diretta del capo del governo, cosa che non ha precedenti in nessun Paese del mondo.

In conclusione, una domanda me la pongo: ma possiamo fidarci?

Cesare Pirozzi

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