L’impegno silenzioso di don Cesare Boschin

Don Cesare non era un Don Puglisi e nemmeno un Don Diana, semplicemente un vecchio parroco veneto che considerava la parrocchia un campo che Dio gli aveva affidato e che doveva coltivare e difendere ad ogni costo”.

A più di vent’anni dall’omicidio che uccise don Cesare Boschin, il suo collaboratore Claudio Gatto tiene a spiegare che il suo amico, parroco di Borgo Montello negli anni novanta, non era un prete eroe né aspirava a diventarlo. Ed era effettivamente così. A raccontare storie di ecclesiastici fatti fuori in modo eclatante e brutale, ci si aspetta di trovare racconti di infuocate omelie domenicali, di nomi e cognomi, di denunce e lotte contro piccole e grandi ingiustizie locali e non. L’attivismo di Don Ciotti, proprio nei giorni dell’appuntamento annuale con Libera, ci ricorda quanto la missione ecclesiastica, soprattutto in terre difficili, assuma un ruolo tutto speciale – e importante – che poco ha a che fare con il semplice ripetere messa.

Don Cesare Boschin, veneto trasferito nel laziale, diventa parroco di Borgo Montello negli anni cinquanta. Attivo e molto vicino alla popolazione locale, formata in gran parte da emigranti veneti, opera in prima fila per aiutare poveri e giovani trovando loro lavoro, promuovendo iniziative di vario tipo, impegnandosi con l’Azione Cattolica. Attacchi e calunnie non lo scalfiscono: così è proprio quando dai suoi parrocchiani arriva la segnalazione di strani miasmi provenienti dalla vicina discarica, che lui si muove.

Sospetti e domande lo portano dal sindaco del paese sino a politici romani che già in passato lo avevano aiutato: ma don Cesare sta chiedendo troppo, e la mattina del 30 marzo 1995 viene trovato ucciso nella sua camera da letto dalla perpetua. La pista dell’omicidio per rapina viene abbandonata presto, gli assassini lasciano intatto il portafoglio del parroco e portano via solo due agendine su cui don Cesare era solito annotare qualsiasi cosa. I parrocchiani smentiscono anche voci che lo volevano vicino agli ambienti gay clandestini della zona: il caso viene allora archiviato quattro mesi dopo.

È nel 2009 che don Ciotti chiede la riapertura dell’inchiesta, proprio alla luce delle conferme circa i traffici illegali di smaltimento dei rifiuti da parte della camorra locale nella zona di Borgo Montello. Don Cesare Boschin aveva capito qualcosa, forse avrebbe potuto fare nomi: viene fatto fuori con le modalità tipiche degli omicidi mafiosi, fatto trovare incaprettato, con mani e piedi legati, la bocca chiusa con dello scotch. E negli ultimi anni, il pentito Carmine Schiavone ha confermato il controllo della zona del basso pontino da parte della camorra, che effettivamente faceva sparire qualsiasi cosa nella discarica vicino a Borgo Montello.

Vent’anni per iniziare soltanto a far luce su una storia che è stata sepolta in fretta, come un bidone di rifiuti tossici. Una lotta silenziosa, una denuncia solitaria per cui la giustizia è ancora lontana.

Di Giusy Patera

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