La Grande Marcia del Ritorno in Palestina

L’11 maggio, per il settimo venerdì di fila, i palestinesi di Gaza hanno manifestato sotto i colpi dell’esercito israeliano.
La “Grande Marcia di Ritorno” di sei settimane, iniziata nella Giornata della Terra Palestinese, si concluderà oggi, 15 maggio, nel settantesimo anniversario della Nakba palestinese, il giorno della catastrofe che ricorda la cacciata di oltre 750.000 palestinesi sfollati dall’esercito israeliano durante la guerra combattuta nel 1948 tra il nuovo stato di Israele e gli stati arabi circostanti.
Tra i motivi della protesta, però, c’è anche la gravissima situazione occupazionale nella striscia. Quasi il 45% della popolazione attiva è senza lavoro e l’80% sopravvive grazie agli aiuti umanitari
La strategia israeliana dell’assedio economico che dura da quasi 11 anni sta strangolando l’economia del territorio. L’occupazione, infatti, impedisce a materiali e alle attrezzature di entrare a Gaza bloccando così ogni attività economica. Disastrosa anche la situazione igienico-sanitaria. La mancanza di energia, oltre che limitare l’accesso all’acqua potabile, impedisce l’attivazione degli impianti di depurazione. Le Nazioni Unite calcolano che la Striscia potrebbe diventare inabitabile — tra inquinamento delle falde acquifere e collasso delle poche infrastrutture — entro un paio di anni.
Israele,che considera la manifestazione come il tentativo di provocare uno scontro, continua a schierare l’esercito e i cecchini sul confine con Gaza. Il bilancio, tra i palestinesi, è ormai di 53 morti e 7.500 feriti. Tra questi ultimi sono almeno 26 i giornalisti colpiti mentre seguivano le manifestazioni e numerosi i medici e paramedici colpiti mentre portavano soccorso.
Il governo israeliano continua ad opporsi ad ogni indagine indipendente che considerata alla stregua di un’ingerenza, accusa i manifestanti di aver tentato di sabotare la barriera di sicurezza e di aver lanciato pietre verso le forze militari israeliane.Human Rights Watch afferma che non esiste alcuna prova che il comportamento violento tenuto da alcuni manifestanti abbia seriamente minacciato i soldati israeliani.
Un popolo che da decenni vive nei campi profughi si sta appellando, pacificamente, al mondo. La mancanza di risposte spiana la strada a quelle forze che da sempre rifiutano compromessi e moderazione.

di Enrico Ceci

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