Annamaria Torno: quando il lavoro uccide
Morire a diciott’anni non è giusto mai. Ma morire a diciott’anni per colpa del lavoro a cui si è costretti, oltre che ingiusto è inaccettabile per chi resta e certe storie può soltanto raccontarle.
Nel 1996 Annamaria Torno è una ragazza poco più che adolescente che si trasferisce da Taranto a Ginosa per vivere insieme al fidanzato. Lavorare come bracciante nei campi è una scelta immediata ed obbligata per guadagnarsi da vivere. Quello che capirà ben presto Annamaria, è che obbligatorio è anche il silenzio su difficoltà, mancanza di garanzie e soprusi che deve accettare e sopportare se quel lavoro non vuole rischiare di perderlo.
Passano soltanto pochi giorni dal suo trasferimento, quando quello che sembra un semplice incidente stradale le porta via la vita, la giovinezza e i sogni. Annamaria è su un pullmino – abilitato per nove persone – che porta lei e altre undici sue compagne verso l’azienda agricola Tarantino per la raccolta giornaliera degli ortaggi, quando improvvisamente il mezzo viene investito da un’automobile che procedeva a gran velocità. Annamaria giunge morta in ospedale, le sue compagne e il caporale che si trovava alla guida si salvano.
La storia di Annamaria Torno risale a vent’anni fa, ma potrebbe essere anche accaduta ieri: questo perché la sua morte è legata ad una piaga sociale estremamente radicata nel sud Italia, ancora oggi. Il caporalato, operando totalmente nell’illegalità e sfruttando il silenzio di persone che hanno bisogno di un lavoro più che di garanzie e sicurezza, è paragonabile totalmente ad una mafia, secondo quanto affermato recentemente dal ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, in seguito alle ultime storie di persone morte per il lavoro nei campi. Vicende come quelle di Annamaria potrebbero essere, o sono, all’ordine del giorno, in Puglia come in tutte le regioni del sud Italia in cui leggi e sindacati non riescono a contrastare con le armi della legalità a offerte e condizioni di lavoro che immigrati o donne in condizioni di vita difficili si trovano costrette ad accettare. Non c’è progresso e non ci sono Giornate internazionali della Donna da celebrare se in tante zone d’Italia il diritto al lavoro in condizioni sicure e dignitose è una realtà ancora tutta da comprendere, prima che da conquistare.
di Giusy Patera