Uso aziendale: bastano 6 mesi di lavoro per ottenere la qualifica di funzionario
La Corte di Cassazione con sentenza n. 5768 /2016 ha sancito che l’uso aziendale ha la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale.
Circa i requisiti dell’uso aziendale, ovvero della costante e uniforme ripetizione di un comportamento datoriale, inizialmente attuato per ragioni di mera opportunità o di liberalità e al quale corrisponde l’affidamento dei lavoratori sulla futura ripetizione, la giurisprudenza, qualificandolo come reiterazione costante di comportamenti spontanei, consistenti in trattamento favorevole e migliorativo dell’imprenditore, sia nei confronti di ciascun dipendente in un’unica vicenda del rapporto lavorativo, sia nei confronti di tutti i dipendenti, lo ha catalogato tra le fonti di regolamento contrattuale.
Recentemente la Corte di Cassazione si è occupata dell’uso aziendale, statuendo che esso fa sorgere un obbligo unilaterale di carattere collettivo che inciderebbe sul contratto individuale di lavoro, modificandone il contenuto, operando come fonte eteronoma di regolamento, con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale.
La vicenda sottesa alla statuizione della Suprema Corte afferisce ad un dipendente di banca che ha proposto ricorso in Tribunale per il riconoscimento del diritto all’inquadramento della superiore qualifica di funzionario, con condanna del datore di lavoro alle differenze retributive corrispondenti alle mansioni effettivamente esplicate.
Il Tribunale dopo aver accertato il demansionamento, intervenuto a seguito dell’attribuzione di mansioni superiori, ha condannato la banca ad assegnarlo a mansioni equivalenti alla qualifica riconosciuta.
Il datore di lavoro ha proposto ricorso in Corte d’Appello che però ha respinto le sue doglianze. I giudici della Corte di Appello hanno riconosciuto la prassi aziendale per la quale il dipendente addetto a funzioni ispettive dopo un periodo di 6 mesi di esercizio effettivo assumeva la qualifica di funzionario, anche in virtù di una valutazione meritocratica da parte della banca. Ne conseguiva il riconoscimento sia di un danno permanente sia di un danno biologico temporaneo di natura psichica, oggettivamente risarcibile.
Il datore di lavoro ha quindi proposto ricorso per Cassazione, contestando la sussistenza della prassi aziendale. La Corte Suprema con sentenza n. 5768 /2016 ha rigettato il suo ricorso. Gli Inquilini del Palazzaccio hanno quindi abbracciato la tesi giurisprudenziale, ormai consolidata sulla questione, evidenziando che la ripetizione costante e generalizzata di un comportamento favorevole nei confronti dei propri dipendenti integra gli estremi dell’uso aziendale. Le Eminenze Grigie, confermano la prassi aziendale come fonte sociale, sancendo che l’uso aziendale, fa desumere un intento negoziale che esplica la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, posto anche che nel caso di specie, per il dipendente era d’obbligo lo scatto proprio perchè aveva ricoperto anche un ruolo da dirigente per diversi mesi e nel diritto del lavoro italiano la qualifica di funzionario, è immediatamente inferiore a quella di dirigente.
Sull’attribuzione della qualifica di dirigente in assenza di investitura formale, ai sensi della recente Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 11.09.2013 n° 20839 “La qualifica di dirigente non è subordinata al gradimento aziendale”. Detta sentenza è, confermativa (unitamente a precedenti sul tema) delle conclusioni raggiunte, in dottrina e giurisprudenza, nel senso della totale inidoneità della volontà unilaterale datoriale a precludere il conferimento della qualifica dirigenziale in presenza di un effettivo ruolo rivestito, ancorato alla necessaria natura obiettiva delle mansioni e dei compiti di fatto svolti nel disimpegno di oggettive e specifiche mansioni caratterizzate da autonomia, responsabilità e facoltà decisionali, rispetto a cui la qualifica è definizione formale (cfr Cass. sez.un. n. 5031 del 1985; Cass. n. 4314 del 1988, etc.), ricollegata unicamente ad una unilaterale ed arbitraria scelta datoriale».
Debbono dunque essere riconosciuti “dirigenti” i lavoratori/lavoratrici subordinati, ai sensi dell’art 2094 del codice civile, come tali qualificati dall’azienda in quanto ricoprano un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, di autonomia e potere decisionale ed esplichino le loro funzioni di promozione, coordinamento e gestione generale al fine di realizzare gli obiettivi dell’azienda.
Ferma restando la diversa volontà del lavoratore: cioè possibilità riconosciuta al lavoratore di rifiutarsi di essere definitivamente adibito alle mansioni superiori .
di Antonella Virgilio