Gravitazione universale di politica e magistratura

Tavani

L’immagine della giustizia è quella della bilancia. È il contrappeso posto su un piatto che ci dice il carico che grava sull’altro. La gravità di un reato nel sistema delle leggi umane e la forza di gravità come legge dell’Universo. Quando il piatto della gravità lunare si abbassa, si approssima all’orbita della Terra, sale corrispondentemente quello delle maree. Salgono, si rompono prima anche le acque nel ventre delle partorienti. La meccanica della gravitazione universale è mirabilmente giusta, precisa nel suo gioco di carichi e contrappesi nell’immane scenario dell’orizzonte astrale. Possiamo dire la stessa cosa dell’orizzonte terrestre e della storia umana?

Nel cerchio di quest’ultimo orizzonte noi assistiamo oggi al lento ma inesorabile declino dell’astro della democrazia occidentale e alla corrispondente ascesa di un nuovo oggetto boreale, quello della tecno-scienza e della turbo economia. È come se tutto il nostro vecchio cielo fisico volgesse al tramonto e cedesse via via spazio al nuovo orizzonte elettronico, virtuale. Occidente significa, appunto, terra dell’Occaso, del tramonto.

Il primo consistente pezzo di cielo a scivolare lungo il piano inclinato della storia è la politica. Come nell’inabissamento del Titanic essa cerca di aggrapparsi furiosamente alla poppa ancora emergente del transatlantico, considerando la propria salvezza prioritaria rispetto a qualunque altra cosa. Arraffare, depredare, rapinare, corrompere, violare tutte le leggi possibili e fabbricarsene a proprio immediato uso e consumo, da quelle penali e civili a quelle costituzionali, per la politica ha ormai la stessa isterica priorità che accaparrarsi tutte le ultime scialuppe di salvataggio da calare in mare prima del definitivo affondamento. La nuova tecno-stella che sorge, e irradia i suoi primi chiarori da dietro il fondo, ancora in ombra dell’orizzonte marino non sa più che farsene della loro arcaica funzione.

Aumentando geometricamente, sul piatto della nostra sfera pubblica, la gravità di questo quotidiano macigno d’illegalità spudorata, la Giustizia si trova quotidianamente a tentare di collocare un contrappeso in condizioni di urgenza ed emergenza, sempre più ardue. Le recenti polemiche al calor bianco sullo scontro tra politica e magistratura, sgangheratamente amplificate e distorte dai mass media, lo testimoniano.

Quando noi diciamo declino, tramonto del vecchio cielo della democrazia, intendiamo tutto ciò che tale cielo avvolgeva e teneva insieme. In Italia il fenomeno è accentuato per il fatto che noi non abbiamo mai avuto una vera rivoluzione democratica, un sistema istituzionale realmente fondato sull’alternanza di potere tra una maggioranza che governa e un’opposizione che controlla, un’economia sganciata dall’assistenzialismo di Stato, una stampa indipendente alimentata da editori puri e non foraggiata, inondata da fondi neri di banchieri, petrolieri, servizi segreti, aristocrazie nobiliari, vaticane, industriali, commerciali, immobiliari, ecc. Tutto questo coacervo di poteri solo in parte occulti, il cui piano di sopravvivenza si inclina sempre più verticalmente, è ovvio che tenti di scampare la pelle insieme alla politica e tenti di scagliare il prorpio peso residuale contro la magistratura.

La domanda vera, però, è se anche l’attuale sistema di giustizia non sia parte integrante di quel vecchio cielo declinante. Dato che si può sì tentare di collocare sul piatto i contrappesi adeguati a controbilanciare il carico corruttivo e mafioso posto sull’altro, ma se si fa questo stando sulla stessa poppa sempre più a picco del Titanic è certo che si sta danzando tutti insieme al suono delle ultime struggenti note emesse dell’orchestra di bordo. Le leggi della gravità universale e dell’ascesa e tramonto degli astri in cielo non guardano in faccia nessuno.

È in atto una degenerazione e corruzione del sistema giudiziario, con lodi scandalosi, sordidi ladrocini nel civile; sentenze da obbrobrio  e vomitevoli scioglimenti per scadenza termini nel penale; un’implosione, abbrutimento del sistema carcerario fino all’aperta e quotidiana violazione dei più elementari diritti umani. A chi dobbiamo imputare questo evidente stato di fatto? Non hanno partecipato anche consistenti settori togati a tale situazione? E può una magistratura responsabile e consapevole tacere su questo e gridare solo su altro? È forse un caso che nell’ultimo sondaggio Eurispes  Rapporto Italia 2016, la magistratura goda solo la fiducia del 35,3% degli italiani, che è certamente molto superiore al 20% del Parlamento e all’11,9% dei partiti, ma pur sempre nella parte ripida dello scivolo.

Non si tratta, però, come si auspica da più parti, di attestarsi su una soglia di compromesso, di accettabile armistizio con la politica, ma della capacità di uno sguardo e di un disegno che sappiano spingersi oltre i nostalgici tramonti.

di Riccardo Tavani

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