Carlo Giuliani. Il silenzio è compiuto

CerulliA parlare, ma soprattutto a scrivere, di Carlo Giuliani, si rischia di fare molta confusione. Di rimanere impantanati nel groviglio di quindici anni di versioni ufficiali, di contro-narrazioni, di verità taciute e opinioni partigiane.

E, ancora, si rischia di fare un gran calderone, di infilarci in mezzo discorsi più o meno pertinenti, di allontanarsi troppo, o troppo poco, dal contesto di quello che Genova 2001 è stato e ha rappresentato.

Posti a riguardo tali limiti e rischi, e aggiunto che non solo per scrivere, ma soprattutto per leggere e argomentare di Carlo e di Genova, c’è bisogno di perdere ore, giorni, per mettere insieme i fili di una verità il cui disvelamento è stato demandato alla volontà e al lavoro di pochi singoli, di quelli che, forse toccati più da vicino, hanno cercato di andare oltre, in un discorso che nella mente degli altri è stato archiviato in fretta, non solo da parte dei detrattori, e liquidato nel solito e facile manicheismo, sembra chiaro che a un quindicennio di distanza, attorno alla vicenda di Carlo, gli animi si scaldino come se fosse passato solo un giorno.

Ciò che è successo a Carlo Giuliani è stato il coronamento, l’estremo sacrificio, di quell’enorme processo rituale, organizzato e non, di compiacimento di se stesso e di perversione del potere che è stato Genova nei giorni del G8. Organizzato, nella parte che ha visto il potere centrale sfruttare quell’occasione come prova generale di addomesticamento degli animi, di tecniche di indottrinamento dell’opinione pubblica e come cartina tornasole della di lei reazione; non organizzato nella parte in cui lo strumento concretizzato, armato, del potere, lasciato sciolto e libero, legittimato al dominio oltre ogni ragionevole limite, si è sublimato nell’inevitabile perversione della sopraffazione, alla stregua di quanto ci ha mostrato Pasolini in Salò.

Qualcosa che lascia senza fiato, un senso di impotenza di fronte a un potere intoccabile e inattaccabile. E i commenti a riguardo, tipo quelli al post di Zerocalcare di qualche giorno fa, dimostrano che l’opera di disumanizzazione e di svuotamento dello spirito critico ha funzionato. Quel meccanismo rodato da figuri del calibro di Cossiga, il quale sintetizzava nella celebre intervista a Cangini del 2008 l’espediente di piegare l’opinione pubblica e di portarla a chiedere sempre più sangue. Mascherare l’autorità dittatoriale e ammantarla di democrazia, di sicurezza per l’ordine pubblico. Additare ed etichettare chiunque sollevi il mento un centimetro da terra, come minaccia per la sicurezza e l’incolumità della cittadinanza tutta. Ed ecco che il bravo cittadino è chi riga dritto, chi cura il proprio interesse, chi non se la va a cercare. E allora le narrazioni prendono la stessa forma e si svuotano degli stessi contenuti per Giuliani così come per Aldrovandi o Cucchi, come per un qualsiasi negro americano, o un migrante coi polmoni pieni d’acqua nel mediterraneo. E più nessuna folla oceanica muove un dito in Italia davanti alla dipartita dell’Articolo 18, della riforma dell’Istruzione, come nessuno sposta un sopracciglio quando il parlamento nega il diritto al codice identificativo addosso a un poliziotto o a una legge sul reato di tortura.

Ecco, forse l’errore di finire a parlare d’altro è compiuto, ma la verità è che non c’è molto da aggiungere a questa storia. Di verità ce ne sono a sufficienza, per chi ne cerchi. Gli altri, si limitino a sparare a zero sulle guardie infami, o si prodighino nella strenua difesa di chi ci protegge, tralasciando il particolare non di poco conto sul chi ci proteggerà da loro.

Nel frattempo, rimane la consapevolezza che chiunque potrebbe venire a prendermi oggi stesso, senza bisogno di trovarsi al Cairo o ad Ankara, qui in Italia, e accanto al mio corpo basterebbe poggiare un piccolo sasso bianco sporco di sangue, perché nessuno si sprechi a cercare per me la verità.

di Simone Cerulli