Voucher: una storia sbagliata

Fino a qualche tempo fa il tema non attirava l’attenzione mediatica. Oggi tutti ne parlano. Tant’è che l’abolizione dei voucher è uno dei due quesiti del referendum, proposto dalla Cgil, approvati dalla Consulta.

Esattamente, che cosa sono? I voucher, o più semplicemente buoni lavoro, vengono erogati dall’Inps e rappresentano un metodo di retribuzione dell’attività lavorativa.

Ogni voucher ha un valore di 10 euro di cui 7,5 vanno al lavoratore (compenso di un ora).

Nascono nel 2003, con la cosiddetta legge Biagi, con lo scopo di regolare lavori di tipo accessorio o occasionale. In realtà, rimangono inattuati fino al 2008, quando il governo Prodi li introduce limitatamente all’agricoltura. Da quel momento, il raggio d’azione dei voucher è andato aumentando costantemente. Prima con il governo Berlusconi e poi quello Monti: la legge Fornero ha esteso l’utilizzo di questo strumento praticamente a tutti i settori.

Anche il governo presieduto da Enrico Letta ha fatto la sua parte, eliminando dalla legge che ne regolamentava il funzionamento la dicitura “di natura meramente occasionale”. In questo modo si è aperta una prateria. Una prateria che si è spalancata quando, con il Jobs Act, si è innalzato il tetto massimo delle entrate nette che un lavoratore può guadagnare annualmente da 5mila a 7mila euro.

È vero, anche, che dall’ottobre del 2016 è stato introdotto l’obbligo da parte del committente di inviare un sms all’Inps sulle generalità del lavoratore almeno un ora prima della prestazione. Questo però non sembra determinante nel tentativo di far emergere il lavoro nero. Infatti con quasi 1.4 milioni di persone coinvolte, è molto complicato affiancare un serio sistema di controllo.

In realtà, dalla loro introduzione l’utilizzo dei buoni è profondamente mutato. Dal 2008 al 2015 l’età media dei prestatori è passata da 59,8 a 35,9. Inoltre, i settori più coinvolti sono quelli del turismo e del commercio. Non più, quindi, colf o ripetizioni. Un sistema diffuso e bloccato che quasi mai conduce il lavoratore ad un miglioramento professionale. Bensì, riporta il mercato del lavoro a decenni addietro, quando il rapporto lavorativo non significava nient’altro che uno scambio tra prestazione e denaro. I buoni garantiscono effettivamente solo la copertura Inail. Quella previdenziale è così esigua che difficilmente può diventare utile. Per non parlare poi di malattia, ferie, giorni di riposo, congedi parentali.

Il risultato del boom dei voucher ha portato, per di più, ad un’atomizzazione del lavoro in cui i singoli dipendenti hanno un rapporto personalizzato con il datore. Ciò non fa altro che dividere i lavoratori diminuendo il loro potere di mercato nelle trattative con gli imprenditori.

Ci sarebbe poi da considerare che un abbattimento dei salari, forse, non è proprio la risposta giusta alla concorrenza dei mercati emergenti, soprattutto asiatici. Su questo campo non potrà mai esserci competizione. Invece, sarebbe più efficace rimanere competitivi sul lato della qualità.

di Pierfrancesco Zinilli