L’Italia ha necessità di cambiare, pensando al domani. Elezioni? Un giorno, forse.

Quando Bersani “non vinse” le elezioni politiche del 2013, il presidente Napolitano rifiutò i modi semplici di affrontare la situazione politica (nuove elezioni o governo di minoranza con appoggi in ogni caso meno vergognosi di quelli più tardi accettati con Verdini e C.).
Volle il governo di larghe intese, il presidente delle telefonate distrutte sulle connessioni politica-mafia.
Di intese inverosimili, tra “L’Italia bene comune” del Pd e la coalizione di centrodestra del pregiudicato di Arcore.
Ci furono quindi gli incarichi prima ad Enrico Letta (finché riuscì a stare sereno); poi al rottamatore (che si è recentemente rottamato da solo con il referendum di dicembre); ed ora, finché dura, al povero Gentiloni, nelle more di una squallida sceneggiata di code ai gazebo per scegliere, al modico costo di due euro, il segretario di un partito al quale non è richiesto di essere iscritti.

Tre anni, di questa pantomima. E sembra che si dovrà attendere ancora, non si sa quanto, prima di tornare a votare.
Non si sa quando, non si sa con quale legge elettorale.
Non si sa con quali programmi, anche se i programmi mai, mai sono mai stati violati come in questi anni. Anche se conteranno solo i “leaders” come Trump. E, nel loro piccolo, come Renzi, come Grillo, come Salvini.
E tutto perché si pensa a soluzioni individuali, si è perso il senso della politica come elaborazione collettiva, dello stare insieme.
Sarà necessario attendere il parto della balena bianca, il partito della nazione, delle imprese, del Renzipensiero.
Sarà necessario che il Pd finisca di liberarsi delle ultime scaglie di sinistra, di difesa della Costituzione, del lavoro, dei giovani, del welfare per i più bisognosi.

Sono cose, queste, non più di moda. C’è solo Papa Francesco che le ricorda a tutto il mondo. Solo lui. Solo lui che parla di amore. Dell’amore di Dio, ma anche dell’amore verso il prossimo. Tutto il resto non conta, in un mondo che mercifica di profumi la favola dolce di san Valentino.
Ed è stato assordante, su queste vicende, il silenzio di Bagnasco, della Conferenza Episcopale Italiana. Forse, per la prima volta, un riserbo doveroso. O forse una implicita ammissione di impotenza.

In questi giorni c’è un gran fervore degli opinionisti, per gridare lo squallore di chi non si sente rappresentato. E dei sondaggisti, che si affannano a dare risultati, e previsioni di voto, e popolarità dei “leaders”. Tutte cose che non servono a dare il polso vero della gente.
E c’è solo una piccola speranza, che il mondo politico del progresso sociale, dei diritti per tutti, della solidarietà non si disperda in gruppuscoli senza avvenire, senza capacità di pesare sulle scelte.
Ci sono stati in Italia brevi momenti, quelli della politica dell’Ulivo, che fecero guardare con fiducia al futuro. E, si deve sperare che essi, con una più consapevole maturità, possano tornare.

di Carlo Faloci