Mondadori, il ritorno al Salone
E alla fine, il ritorno. È di questi giorni la notizia, o per meglio dire il colpo di scena, che ha visto Enrico Selva Coddè, ad di Mondadori Libri, dichiarare il ritorno al Salone del Libro di Torino di tutto il gruppo (in cui sono presenti anche Einaudi, Piemme, Rizzoli, Fabbri e Sperling & Kupfer) per la trentunesima edizione, nel 2018: «Torino ha una grande tradizione, trent’anni di storia e in questa edizione ci sono le condizioni per ritornare […] con tutti i nostri marchi».
Una decisione che è il risultato sicuramente del gran successo che è stato il Salone nella prima edizione dopo la scissione tra grandi e piccoli editori e guidata da Nicola Lagioia, che sfociò nella decisione del presidente Motta a spostarsi a Milano con “i grandi” creando Tempo di Libri. Risalgono proprio a un anno fa, infatti, i movimenti e le scissioni all’interno dell’Associazione Italiana Editori, per cui i grandi gruppi, tra cui proprio Mondadori e GEMS, avevano sostenuto l’organizzazione di una fiera a poche settimane di distanza da quella di Torino, che non ebbe però il successo sperato, al contrario del Salone del Libro, che confermò e aumentò numeri e riscontri positivi.
Un successo, quello del ritorno del gruppo Mondadori, commentato in primis proprio dal direttore Lagioia, reduce da un successo come Portici di carta che ha confermato come sia possibile trasformare Torino in città di libri e cultura 365 giorni l’anno: «[…] è un anno che lavoriamo a questa ricomposizione confezionando risultati come quello di maggio», afferma, seguito a ruota dalla sindaca di Torino Chiara Appendino per cui «Il ritorno del gruppo Mondadori alla trentunesima edizione del Salone del Libro di Torino è un ulteriore segnale del riconoscimento della qualità del lavoro svolto, e che stiamo svolgendo, negli oltre trent’anni di vita della nostra fiera, luogo di incontro e di crescita per tutta la filiera della lettura».
Un merito dunque che permette di considerare Torino come punto di riferimento nell’ambito degli eventi fieristici culturali a livello nazionale e non solo, e una notizia che soprattutto dimostra come sia possibile lavorare sulla qualità degli eventi creando rete e non con sterili divisioni, se in un’industria fatta di carta e parole come quella del libro si vuole ancora credere.
di Giusy Patera