Nostro fratello Ahamed Fdil: gli hanno dato fuoco

Ahamed era nostro fratello, gli hanno dato fuoco pochi giorni prima di natale. Sui giornali la notizia è stata data così: clochard brucia in macchina, senzatetto muore in incendio, senza fissa dimora muore in macchina tra le fiamme. Ma clochard non è un nome, neanche senzatetto o senza fissa dimora, sono termini che indicano una condizione, non una personalità fisica e giuridica. Una condizione non può morire, tanto meno con il fuoco. Una persona si. Una persona può morire bruciata. Così è morto Ahamed, nostro fratello Ahamed, dentro una vecchia macchina abbandonata, dove dormiva per ripararsi dal freddo. Gli hanno dato fuoco per scherzo, così hanno detto agli inquirenti gli autori del brutale gesto. Due minorenni che per sfuggire alla noia hanno deciso di dare fuoco al nostro fratello Ahamed, per scherzare. Giocare con il fuoco per togliere la vita a chi dalla vita aveva ricevuto poco o niente.

Togliere anzichè dare è un concetto tipicamente egoista che ci allontana dalla concezione della fratellanza e dell’amore. Due minorenni, che gia da tempo vessavano Ahamed, lanciandogli addosso petardi e miccette, per scherzo e per noia, semplicemente per togliere anzichè dare. Finchè un giorno freddo di fine dicembre si passa ai rotoli di carta lanciati nell’abitacolo freddo e spoglio della carcassa della macchina dove Ahamed dormiva. Non era un clochard di nome, lo era forzatamente per condizione, si chiamava Ahamed, veniva dal Marocco, aveva 64 anni ed aveva perso il lavoro, le speranze, i sogni. L’unico riparo dal freddo e dalla pioggia lo aveva trovato in quella macchina abbandonata in fondo ad un parcheggio.

È morto bruciato, tra le fiamme che lo divoravano, nostro fratello Ahamed Fdil, ha ricordato sua madre, suo padre, ha pensato ai profumi della sua terra, al suo Marocco, terra lontana a cui tornerà in una bara con su scritto il suo nome:Ahamed Fdil. Non ci scriveranno clochard e senzatetto. Piangeva, Ahamed, mentre bruciava, il calore del fuoco gli seccava le lacrime prima che uscissero dagli occhi. Urlava, mentre ardeva, sul rogo della noia e dello scherzo, ma le fiamme e il fumo gli bloccavano la voce prima che uscisse dalla gola e si espandesse in quel parcheggio desolato. Ahamed, non un clochard, nostro fratello Ahamed, ora non c’è più, è tornato a respirare l’aria del deserto, ad incontrare sua madre che mai avrebbe pensato che suo figlio, il suo Ahamed, morisse bruciato per scherzo nella carcassa di una macchina.

In tanti hanno scritto di un clochard morto bruciato, come a non voler dare il senso del dramma che si è consumato per noia, ma sappiamo tutti che la noia e figlia della indifferenza. Indifferenza verso gli ultimi, verso coloro che non ce la fanno, ai quali viene negata una possibità. Indifferenza che ci fa scrivere clochard al posto di Ahamed. Per noi di Stampa Critica, Ahamed Fdil è nostro fratello Ahamed, di origine marocchina, ultimo come tanti nella scala sociale degli indifferenti, ma primo tra i primi nella scala sociale dell’amore e della fratellanza.

di Claudio Caldarelli

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