Nuove intercettazioni nel caso Alpi: si ipotizza la riapertura delle indagini

“Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia, tutto il resto è propaganda”

Horacio Verbitsky, giornalista 

Un nuovo spiraglio di luce sembra intravedersi all’orizzonte del caso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i due giornalisti Rai uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994: la Procura di Roma ha depositato nuovi atti dopo aver ricevuto un’informativa dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze. Giusto una piccola anomalia: il documento fiorentino è datato dicembre 2012. Compare quindi sui banchi romani con un inspiegabile ritardo di 5 anni: ma cosa vogliamo che siano per una madre che aspetta di conoscere la verità da 24?

La Dda di Firenze ha intercettato alcune telefonate di tre somali, ritenuti parte di un’organizzazione che gestirebbe traffici illeciti di immigrati. Uno è il gestore di un money transfer di Birminngham, un altro si occupa di un centro trasferimento fondi a Firenze e il terzo è Douglas Duale, uno dei difensori di Hashi Omar Hassan, l’uomo ingiustamente condannato a 26 anni di carcere a seguito dell’omicidio Alpi-Hrovatin. I tre sono legati da 40 mila dollari, partiti dalla presidenza somala nel 2012 e destinati all’avvocato Duale che ha giustificato la somma come “spese necessarie alla difesa (di Hashi, ndr)”. Non solo. in una chiamata un somalo dichiara: “Ilaria Alpi è stata uccisa dai militari italiani”. Un’affermazione forte che però neanche stupisce troppo visto che, nonostante gli innumerevoli depistaggi, l’ombra del governo, dell’esercito e dei servizi segreti italiani aleggia già da qualche tempo su questo caso. Si potrebbe così decidere di riaprire le indagini.   

“Non cerco giustizia, voglio solo la verità”, ha più volte dichiarato Luciana Alpi, madre della giornalista, rimasta sola in questa estenuante battaglia dopo la morte del marito Giorgio. Verità sta per mandanti: sapere chi ha ordinato l’omicidio della figlia.

E’ una domenica di marzo del 1994, probabilmente calda come la maggior parte dei giorni a Mogadiscio, quando un commando di 7 uomini si para davanti una jeep a pochi passi dall’ambasciata italiana e uccide i due inviati del Tg3. Scelgono di utilizzare l’arma che non si inceppa mai: AK47, meglio conosciuto come kalashnikov. 

Ufficialmente Ilaria e Miran erano in Somalia per seguire un contingente italiano, inviato in missione di pace nel Corno d’Africa. In realtà i due giornalisti stavano seguendo anche un’altra pista che vedeva intrecciarsi traffici illeciti di armi e rifiuti in cui erano coinvolti diversi Paesi occidentali. Mentre le salme dei due facevano ritorno a casa le valigie della giornalista romana e dell’operatore triestino sono state aperte e sono spariti gli appunti di lei e i nastri di lui. 

Nel gennaio 1998 l’ambasciatore italiano torna in patria con un bel bottino: tre somali, tra cui Hashi e “Gelle”, nella realtà Ahmed Ali Rage. Ahmed accusa Hashi di far parte del commando che ha ucciso la Alpi. Subito Omar viene arrestato e Gelle sparisce. Nel 1999 il Tribunale di Roma assolve Hashi che però in Appello, l’anno dopo, viene nuovamente condannato fino al 2003 quando la sentenza è definitiva e lo costringe a 26 anni di carcere. Ne sconta 17, fino a quando la trasmissione “Chi l’ha visto” intervista Gelle, nel mentre fuggito in Inghilterra, che ammette di essere stato pagato per mentire: Hashi il 20 marzo 1994 si trovava in realtà a 200 km da Mogadiscio. 

Come se tutto questo non bastasse, nel 2004 una commissione facente capo niente meno che all’avvocato Carlo Taormina conclude che la Alpi e Hrovatin non stavano affatto seguendo alcuna indagine: erano in Somalia per una vacanza. 

Nel 2007 la Procura di Roma tenta la via dell’archiviazione, ipotesi respinta dall’accertamento che si è trattato di un “omicidio su commissione”. 

Nel 2013 l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini, avvia la procedura di desecretazione degli atti del caso Alpi-Hrovatin: il movente dell’omicidio è legato all’inchiesta che i due giornalisti stavano seguendo e i mandanti sono da rintracciare tra militari africani e una cooperazione; emergono quindi un trafficante e un amministratore somali, altri due loro concittadini e due imprenditori italiani, tutti al servizio di un signore della guerra. 

A oggi, a 24 anni da questo omicidio, chi è al servizio di Ilaria, Miran e Luciana?

di Irene Tinero